Il paradiso perduto dei neoborbonici
Da diverso tempo cercando in giro per la rete “Regno delle Due Sicilie” possiamo trovare una serie di informazioni provenienti da diversi gruppi che si definiscono neoborbonici o filoborbonici e che indicano il Regno duosiciliano come una sorta di paradiso perduto, e forti delle informazioni del best seller del 2010 “Terroni” di Pino Aprile, tendono a enfatizzare i lati oscuri del Risorgimento italiano ricercando il riscatto per una terra che non era né il paradiso perduto dei neoborbonici né l’inferno descritto dai primi storici risorgimentali.
Il contesto storico
Il Regno delle Due Sicilie in sé è esistito per un periodo relativamente breve, ovvero dal 1816 al 1861, ma il primo regnante della famiglia Borbone a entrare in Italia e regnare sia sul Regno di Napoli che su quello di Sicilia sarà Carlo di Borbone, intorno al 1735.
Carlo darà una maggiore indipendenza a quella che sarà la base della nazione Duosiciliana[1] e attuerà una serie di riforme che porteranno i Regni di Napoli e di Sicilia alla loro età dell’oro.
Sarà suo figlio Ferdinando a unificare le corone di Napoli e Sicilia dopo la parentesi dell’invasione francese e sarà lui, con il nome di Ferdinando I, il primo sovrano delle Due Sicilie.
I primati, ma di chi?
Le liste che ci sono in giro e che elencano una serie di primati dalla famiglia Borbone o nel Regno Duosiciliano appaiono quantomeno confusionarie e sconnesse, ad esempio a volte partendo da Trotula de Ruggero[2], medico salernitano e figura famosissima nel Medioevo spesso indicata come creatrice dell’ostetricia e della ginecologia, ma vissuta nel XI secolo, quasi due secoli prima che il primo Roberto di Francia, capostipite dei Borbone, venisse al mondo[3].
Per motivi simili, dai primati attribuiti ai Borbone andrebbero esclusi anche altri due elementi che si trovano invece spesso nelle liste, ovvero l’Ospedale degli Incurabili nato nel 1521 in una Napoli che era una città italiana sotto il dominio dell’Asburgo Carlo V (incoronato Re d’Italia nel 1530), e quello della scoperta della rotazione di Marte a opera dello scienzato napoletano Francesco Fontana avvenuta nel 1636. Anche in quel caso, all’epoca Napoli non era sotto dominio borbonico poiché parte dell’Impero Spagnolo sotto il sovrano Filippo IV, anch’egli della casa di Asburgo.
Qualcosa di vero: l’era d’oro di Carlo
Dal 1734 su Napoli e dal 1735 in Sicilia regnerà Carlo di Borbone; il sovrano, illuminato e molto amato, darà via ad una serie di riforme che porteranno davvero il Regno di Napoli e di Sicilia (che al tempo erano ancora entità statali separate) a ottenere davvero una serie di primati come il famoso Teatro San Carlo, il più antico teatro d’opera del mondo[4].
Dopo Carlo però la situazione mutò notevolmente e sebbene da un lato il figlio Ferdinando mantenesse lo spirito del padre, arrivado a creare strutture come le Officine di Mongiana nel 1770 e l’importante Museo Minereralogico nel 1801, avrà un atteggiamento ambiguo evitando di applicare la Costituzione Siciliana da lui concessa nel 1812 e di fatto abolendo il Regno di Sicilia nel 1816, creando quella frattura tra la Sicilia e i Borbone che si protrarrà fino a favorire lo sbarco di Garibaldi.
La tratta ferroviaria Napoli-Portici
Altro esempio di primato controverso è la citatissima Napoli-Portici fatta costruire da Ferdinando II nel 1839, che seppure fosse la prima linea ferroviaria costruita sul territorio italiano era parte di un progetto più vasto che stenterà a partire e al momento dell’annessione si limitava a circa 48 km in direzione nord e circa 55 in direzione sud.
Conclusioni
Il mezzogiorno d’Italia, Borbone o meno, è sempre stata una terra dinamica e questo anche per via delle numerose dominazioni susseguitesi nel corso dei secoli e i vari scambi commerciali e culturali che hanno portato a risultati invidiabili sul territorio e delle personalità illustri.
Andreas Anderson
[1] Harold Acton, I Borboni di Napoli (1734-1825),
[2] Salvatore De Renzi, Storia documentata della scuola medica di Salerno
[3] Darryl Lundy, Genealogia di Roberto di Francia
[4] Sforza F., I Grandi teatri italiani
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