Bucha, Ucraina – Vol. 2
Proseguiamo l'approfondimento su quanto accaduto tre anni fa (e quanto accade ancora oggi)

Con il presente articolo riprendiamo da dove ci eravamo lasciati alla fine della prima parte, nella quale avevamo delineato una timeline degli eventi, della disinformazione e delle verifiche dei fatti succedutisi fino al 4 aprile.
Proprio da questa data ci accingiamo a ripartire, poiché quella sera – in prima serata su uno dei canali TV italiani più seguiti – è stato dato spazio a chi non ha fatto altro che ripetere acriticamente quanto sostenuto dal Cremlino, nonostante la situazione fosse già ben chiara. Invece che limitarsi strumentalmente – e colpevolmente – alle parole e alle pseudo-ricostruzioni di Mosca, sarebbe bastato includere nella ricostruzione degli eventi le testimonianze dei residenti, gli articoli di tutta la stampa internazionale giunta in città, le analisi dei fact-checker nazionali e internazionali e persino le immagini satellitari, disponibili proprio da quella data.
Buona lettura.
INFORMAZIONE E DISINFORMAZIONE DAL 4 APRILE AD OGGI
Nella giornata del 4 aprile 2022 l’italiana Facta ha pubblicato un bel fact-checking, ripreso successivamente da EDMO (European Digital Media Observatory). Eppure, nonostante l’importante servizio offerto da entrambi, c’è chi ha scelto di far finta che nulla fosse stato verificato.
Quella sera, nella puntata di Quarta Repubblica, il conduttore Nicola Porro ha insinuato dubbi su quanto accaduto a Bucha e ha lasciato che Toni Capuozzo ripetesse per filo e per segno le parole di Lavrov e di Peskov in prima serata su Rete 4.
Le parole pronunciate da Capuozzo sono state le seguenti:
[minuto 1:09] Guai a non porsi delle domande […] Non mi convince la sequenza dei tempi […] E se io mi domando “Sono i russi capaci di fare una cosa di questo tipo?” […] Sì, secondo me sono capaci. E se mi chiedo sono gli ucraini con l’acqua alla gola, con la voglia di coinvolgere il mondo capaci di mettere in piedi una messinscena come questa?” Io ti dico “Sì, sono capaci”. Il lavoro del giornalismo è andare sui fatti, cercare di capire che cosa c’è dietro le apparenze, perché il risultato qual’è stato? Il risultato è che davanti a questo orrore non possiamo non mandare i carri armati.
Poco dopo Daniele Capezzone gli rispondeva:
[minuto 7:35] Mi delude molto che lui ripeta pari pari la versione di Mosca. Mi delude molto che lui non veda quello che da alcune decine di minuti il New York Times mostra e cioè immagini satellitari di due, di tre settimane fa, quanto Bucha era sotto il controllo dei russi e le immagini satellitari mostrano i civili ammazzati a terra […] Mi delude molto che da cinque settimane dici “gli ucraini dovevano arrendersi” […] E mi delude molto, scusami, la parola messinscena. Allora se noi dobbiamo farci le domande sì, sono con voi, le dobbiamo fare, dobbiamo pretendere la verità, ma attenzione, state sostenendo che in tre giorni hanno acchittato tutto, hanno sistemato e magari travestito un po’ di cadaveri, hanno addestrato come attori tutte le persone che sono state sentite, hanno addestrato e ingannato tutti i giornalisti delle testate del mondo […] Vi prego, c’è un confine sottile: un conto è fare delle domande e avete, abbiamo il dovere di farlo, altro conto è girare la testa dall’altra parte [grassetto nostro ndr]
Credo non si potesse dare risposta migliore.
A questo punto Porro concede una replica a Capuozzo, che – palesemente in difficoltà – si rintana nelle sue amate domande a oltranza fingendo che Capezzone non gli abbia fornito alcuna risposta certa. Ad ascoltare tutto questo sono stati 970.000 telespettatori. Alla vicenda avevamo dedicato un articolo di cui vale la pena riportare le prime righe, ma che consiglio di leggere nella sua interezza:
Dal momento in cui le forze ucraine hanno cominciato a liberare parte del territorio occupato dai russi, e sono state scoperte le prime efferatezze subite dai civili, è partito un conto alla rovescia. Un conto alla rovescia che misura il livello di decenza dei vari complottisti in servizio permanente effettivo, dei giornalisti vittime del loro individualismo narciso (bellissima definizione di Michele Serra) tutti pronti a denunciare l’ennesima montatura dell’Ucraina o dell’Occidente ai danni di Putin. Perché a loro non la si fa!
In quell’articolo sottolineavamo come il 5 aprile Marco Travaglio scegliesse di scrivere che:
francamente importa poco chi li abbia uccisi, e dove, e quando: chiunque sia stato non sposta di un millimetro il giudizio sulla guerra, che è sempre sterminio e distruzione.
Quello stesso giorno sul canale YouTube di Radio Radio, nostra vecchia conoscenza che oggi conta 458.000 iscritti, il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni pronuncia le seguenti parole:
Purtroppo un’altra tra le vittime della guerra […] è la verità. L’informazione è sottoposta alla guerra della propaganda, però quello che voglio dire di fronte a quelle immagini terribili è che diventa perfino secondario questo aspetto, quello delle responsabilità che mi auguro al più presto possano essere accertate […] Quello che invece deve essere al centro della nostra attenzione sono appunto quelle immagini e il loro senso profondo, la barbarie che si scatena sulla pelle dei più deboli, inermi degli incolpevoli, cioè dei civili: è questo il motivo per cui oggi più che mai […] va rilanciato il messaggio della pace, la necessità di investire sulla diplomazia […] perché al più presto finisca l’orrore della guerra che […] produce soltanto un’infinita catena di vittime.
Insomma, il sindaco aveva denunciato il massacro giorni prima (e lo stesso Fatto Quotidiano ne aveva riportato l’allarme), i residenti avevano confermato, i reporter internazionali avevano fotografato tutto ed erano anche disponibili delle immagini satellitari. Ma secondo alcuni “la verità è una vittima della guerra” e in ogni caso poco importa cosa sia successo: l’importante è che la guerra è brutta e deve finire, magari sforzandosi di “comprendere le ragioni” di chi fino a pochi giorni prima aveva ammazzato per strada dei civili inermi.
Questo atteggiamento l’ha definito più che bene Capezzone: girare la testa dall’altra parte.
Quello stesso giorno Nicola Porro – che su BUTAC gode di una sezione dedicata – ha pubblicato un articolo nel quale riproponeva quanto detto da Capuozzo a Quarta Repubblica; e fungevano da cassa di risonanza anche La Nuova Bussola Quotidiana, nostra vecchia conoscenza, e Libero. Quest’ultimo ha scelto di rilanciare, fin dal titolo, la narrazione di un’Ucraina nazista: con tutta probabilità, in redazione si sono persi il bellissimo articolo dell’East Journal risalente ancora al 18 dicembre 2014. Noi di BUTAC avevamo invece pubblicato un fact-checking su cosa Zelensky avesse detto a proposito di Bandera e del comunismo: lo trovate qui.
Il 6 aprile l’allora europarlamentare Francesca Donato – anche a lei abbiamo dedicato vari articoli – ha pronunciato un discorso al Parlamento Europeo che ha dato a noi di BUTAC il nostro bel daffare: la storia del manichino, quella delle fasce bianche, delle finestre indistruttibili, dei sicari ucraini e chi più ne ha più ne metta. Anche da Pagella Politica si erano occupati subito di trattare le sue affermazioni.
Ma la disinformazione, ovviamente, non si è fermata:
1° aprile. Bucha, sobborgo a 30 km da Kiev, torna in mano agli ucraini. […] La verità probabilmente sta nel mezzo. I morti sono opera dei russi (se non avessero invaso l’Ucraina, quelle 300 o 400 persone sarebbero ancora vive) e le brutalità sono accertate, anche se è difficile distinguere fra civili giustiziati (ce ne sono, come mostrerà un filmato diffuso dal New York Times) e militari caduti in battaglia. Ma la fossa comune accanto alla chiesina di Bucha, ripresa dai satelliti ed esibita da tutti i giornali e tv, è in realtà il cimitero improvvisato del vicino ospedale che getta lì i corpi dei feriti di guerra che non ce l’hanno fatta. E la collocazione dei cadaveri, senza sangue e probabilmente uccisi settimane prima, disposti a distanza regolare sulla strada a favore di telecamere, fa sospettare una regia per moltiplicare lo choc.
L’ultima riga riporta una terminologia che avevamo evidenziato in un grassetto nella prima parte di questo articolo, ve la ricordate? Il riferimento al fatto che “i corpi nel video sembrano essere disposti deliberatamente per creare un’immagine più drammatica”. Il passaggio sulla fossa comune sembra invece voler smascherare chissà quale inganno, eppure la notizia del suo ritrovamento risale almeno al 4 aprile. Per il resto, queste righe non meritano commento. Forse giusto una: quando sono state pubblicate erano già passati due anni e mezzo, era infatti il 19 novembre 2024.
Ecco, quelle parole sarebbero da confrontare con quelle scritte a caldo il 4 aprile da Micol Flammini sul Foglio, che titola:
Non servono le foto per credere al massacro di Bucha: Ria Novosti racconta la stessa storia
L’articolo risale al 4 aprile 2022 e fa notare una curiosa coincidenza. Il giorno prima era comparso su Ria Novosti, agenzia stampa russa, un articolo intitolato “Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina” nel quale si scriveva che (grassetti nostri):
La denazificazione è necessaria quando una parte significativa del popolo – molto probabilmente la maggioranza – nella sua politica è stata dominata e attratta dal regime nazista. Cioè, quando l’ipotesi ‘le persone sono buone è il governo che è cattivo’ non funziona. Il riconoscimento di questo fatto è alla base della politica di denazificazione, di tutte le sue misure”.
Leggete l’articolo del Foglio, perché questo è esattamente quanto accaduto a Bucha.
CONSIDERAZIONI FINALI
- Ai disinformatori è sufficiente diffondere il dubbio
L’apparente movimento dei cadaveri, il video girato dal sindaco post-datato, il riferimento alle trattative in corso in Turchia, il tempo trascorso tra l’abbandono della città da parte dei russi e le foto dei primi corpi: tutto questo ha assolto al preciso scopo di sommergere di informazioni errate o fuorvianti il grande pubblico, generando in esso confusione e portandolo a pensare: “C’è chi racconta una cosa e chi ne racconta un’altra, chissà che sarà successo davvero a Bucha?”.
In questo modo, la dinamica sulla quale si tenta di far leva diventa la seguente:
- Il Cremlino diffonde la sua disinformazione;
- Alcuni ci credono, altri esercitano un dubbio in apparenza legittimo;
- Il dubbio implica equidistanza dalle parti coinvolte (“La verità molto probabilmente sta nel mezzo…”);
- L’equidistanza si traduce nei fatti nell’abbandono della parte più debole, in balia di quella più forte;
- Per il Cremlino, l’obiettivo è stato raggiunto.
Almeno a livello istituzionale europeo, però, l’obiettivo non è stato affatto raggiunto.
- La disinformazione russa in Italia
Le responsabilità della diffusione in Italia della disinformazione russa – scrivo russa perché il riferimento è a fonti legate a doppio filo col Cremlino; se ce ne sono di altra nazionalità, e sicuramente ce ne sono, non è ciò di cui parliamo in questo articolo – ricadono in buona parte sulla nostra televisione nazionale, estremamente permeabile ad essa e principale canale di informazione degli italiani alla data del 2022.
Su questo tema consigliamo il ricercatore italiano Matteo Pugliese, che ha parlato approfonditamente in questo video di un suo studio sulla presenza di soggetti legati direttamente a Mosca nelle trasmissioni TV italiane nei primi quattro mesi di guerra, quando cioè l’attenzione mediatica era focalizzata sull’Ucraina. I conduttori di certi programmi hanno giustificato la presenza di questi ospiti con la necessità di far “sentire anche l’altra campana”, ma come dice Pugliese:
Far ripetere dieci, cento volte una falsità conclamata in televisione a qualcuno non la rende una verità, resta comunque una falsità conclamata
Lo stesso ha descritto un panorama mediatico italiano a dir poco preoccupante e, si badi bene, l’analisi è comunque confinata ai soli soggetti con legami diretti con Mosca. Suscita sconcerto pensare che da essa siano quindi stati esclusi coloro che, pur non avendo legami col Cremlino, ripetono anche in minima parte, ma del tutto acriticamente, la propaganda che da lì ha origine. Giusto per intenderci, giornalisti come Porro, Capuozzo, Travaglio e molti altri non sono inclusi in quello studio.
- Come farci trovare preparati
Di fronte a qualsiasi fatto mediatico sconvolgente va in ogni modo evitato un sovraccarico informativo, spesso alimentato dalla confusione mediatica. Noi di BUTAC suggeriamo di:
- Usare il pensiero critico: il “primo passo nel contrastare l’information disorder”;
- Ignorare criticamente: “più di non prestare attenzione: si tratta di praticare abitudini consapevoli e salutari di fronte alla sovrabbondanza di informazioni”;
- E ricordare che il deviato (e deviante) pensiero espresso dalla frase “non possiamo sapere nulla con certezza” non è che una distorsione del corretto assunto “non possiamo sapere tutto con certezza”. Qualcosa però possiamo saperlo: non concordare su quel che è certo non significa avere dei dubbi, ma essere in malafede.
- L’unicità di Bucha
In chiusura inseriamo l’articolo in cui il giornalista dell’AFP Danny Kemp, tra i primi ad entrare a Bucha il 2 aprile, racconta cosa ha visto e vissuto in quei giorni, mentre in quest’altro dell’Associated Press potete sentire alcune intercettazioni di soldati russi di stanza a Bucha registrate tra il 19 e il 21 marzo.
Euronews invece riesce a descrive molto bene le difficoltà incontrate in fase di riconoscimento dei cadaveri, anche dopo molto tempo.
Il 21 aprile 2022 Human Rights Watch raccoglieva numerose testimonianze dei crimini di guerra commessi a Bucha e il 13 settembre la Commissione Internazionale di Inchiesta Indipendente sull’Ucraina – già attiva dal marzo precedente, e il cui mandato è stato esteso proprio il 4 aprile – pubblicava il suo report.
Il 22 dicembre 2022 il New York Times scriveva:
Storicamente, giornalisti e investigatori hanno fatto affidamento su una singola foto o un singolo video per mostrare le atrocità della guerra. Nel 1992 il Time ha pubblicato un numero con una foto di un prigioniero emaciato in Bosnia in copertina. Dopo quasi 20 anni, un video ha mostrato l’esecuzione dei combattenti delle Tigri del Tamil negli ultimi giorni della guerra civile in Sri Lanka.
Ciò che contraddistingue le evidenze scoperte a Bucha sono la quantità e i dettagli che collegano un’unità singola e il suo comandante a specifici omicidi, con possibili implicazioni per le indagini in corso.
RC
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