Dumb Fucks – Tutto tragicamente vero

Ci è stato segnalato un testo pubblicato pochi giorni fa sul Substack Cose dal Web, firmato Bianca, il titolo è molto diretto: Stupidi Coglioni, e racconta dei primi passi di Mark Zuckerberg nel mondo dei social.

Chi ce l’ha segnalato pensiamo avesse qualche dubbio su fatti raccontati da Bianca, a noi però tocca confermare: Zuckerberg, quando ha aperto Facebook, ha fatto davvero le affermazioni riportate da Bianca, in particolare chiamando i suoi utenti “dumb fucks”, che potremmo appunto tradurre con “stupidi coglioni” o “stupidi stronzi”. Sia chiaro, non sono (siamo) solo gli utenti di Facebook ad esserlo, ma in generale tutti gli utenti dei social network/media: più materiale condividono, infatti, più contribuiscono sia al successo della piattaforma sia alla profilazione dei propri gusti da parte del social stesso.

Questo è il testo condiviso da Bianca, che circola in rete da anni:

ZUCK: yea so if you ever need info about anyone at harvard
ZUCK: just ask
ZUCK: i have over 4000 emails, pictures, addresses, sns
FRIEND: what!? how’d you manage that one?
ZUCK: people just submitted it
ZUCK: i don’t know why
ZUCK: they “trust me”
ZUCK: dumb fucks

Lo so, ci ripetiamo, e chi ci legge dal 2013 magari si annoia, ma vorremmo che fosse chiaro, per l’ennesima volta, che condividere le foto delle vostre vacanze sui social è bellissimo, ma al tempo stesso quando le pubblichiamo stiamo raccontando pubblicamente dove andiamo, quando ci andiamo, con chi lo facciamo, mettendo queste informazioni a disposizione di chi dovrà piazzare le sue pubblicità di pacchetti vacanze proprio sotto i nostri occhi: prima dei social raccogliere queste informazioni era difficile e costoso, oggi siamo noi “dumb fucks” a fornirle gratuitamente per il guadagno di chi vende gli spazi pubblicitari sugli schermi sotto i nostri occhi. Commentare se vi è piaciuta questa o quest’altra serie, questo o quest’altro libro, è a sua volta un ottimo sistema per mettere a disposizione con precisione i vostri gusti, e permettere ai fornitori di pubblicità di raggiungervi con sempre più precisione.

Oggi ho fatto a mia volta una segnalazione, nel mio caso era al servizio clienti di una ditta di cui mi servo: mi hanno chiesto la mail con cui ero registrato al loro servizio per verificare fossi io, e per un secondo ci ho dovuto pensare visto che uso mail diverse per cose diverse. L’impiegato del call center ha commentato “Eh ma quante mail avrà mai”, e quando gli ho risposto “Lo faccio per evitare spam e importuni” è lui che ha avuto un momento di pausa, come se avesse sentito questo “stratagemma” per la prima volta, poi si è complimentato per l’idea e io mi sono domandato in che mondo viva. Purtroppo però è evidente che la società attuale si sta evolvendo in una direzione sbagliata: la gente ha imparato a usare i social, è convinta di saper usare un computer, di avere una qualche forma di controllo sulle proprie identità digitali, quando, nella maggioranza dei casi, navigano a vista e non sanno fare altro che usare gli automatismi che altri hanno realizzato per loro (e che proprio per questo, presumbilmente, vanno a vantaggio degli altri, non di loro).

Sia chiaro, anche nella vita di prima era così: accendevamo la luce di una camera premendo un interruttore senza sapere come funzionasse il circuito elettrico, facevamo una carrellata dei programmi televisivi senza stupirci ogni volta del funzionamento dell’apparecchio. Il problema è che prima si trattava di un’interazione passiva, il massimo che “gli altri” potevano fare per capire i nostri gusti era tirare a indovinare sulla base dell’analisi di statistiche fatte su un ristretto campione di soggetti.

Zuckerberg e gli altri come lui hanno rivoluzionato le cose: oggi siamo noi, volontariamente, allo scopo di poter usare i loro servizi gratuitamente, che forniamo loro ogni dettaglio delle nostre vite… qualcuno potrebbe definirci dumb fucks.

La cosa che mi dispiace di più è che, ogni volta che pubblichiamo un articolo che spiega i pericoli del condividere too much information, troppe informazioni, anche tra chi ci segue da tempo arrivano critiche, che dimostrano che il problema della profilazione non riesce a penetrare a fondo nella testa di chi usa lo strumento rete senza pensare alle conseguenze di quanto sta facendo. A tal proposito, proprio ieri Nieman Lab ha pubblicato un interessante articolo che riporta i risultati di uno studio le cui conclusioni suggeriscono che un buon metodo per dare a tutti le competenze per difendersi dalla disinformazione sia proprio conoscere i meccanismi di funzionamento degli algoritmi delle piattaforme.

Io non sono sicuro di dove vorrà andare a parare Bianca col suo testo, e non so se concorderò con quello che ha ancora da dire, ma mi sento di condividere queste sue parole:

Quando gli sforzi per manipolare vengono nascosti, la probabilità di caderne vittima cresce.

Quando non stiamo più parlando di prodotti, ma di influenzare le opinioni e le sensazioni delle persone su tematiche politiche e sociali, i rischi aumentano.

Quando qualcuno esercita il controllo momento per momento sul flusso delle tue abitudini, messaggi privati e di innumerevoli altre informazioni intime o sensibili, valutare o discernere gli atti manipolativi diventa quasi impossibile.

E quando un’azienda privata ha in mano tutto questo, diventa un serio problema.

Specialmente per noi Stupidi Coglioni.

I social network hanno un potere immenso fra le mani, un potere che gli abbiamo regalato noi, con le nostre scelte e con le nostre azioni, con il nostro volere tutto, subito e se possibile gratuitamente, un potere che ha contribuito in maniera sostanziale all’infodemia e al dilagare delle fake news, bisogna che cominciamo a prenderne atto in maniera più responsabile.

maicolengel at butac punto it

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