Il fact checking, la libertà d’espressione e il marketing
Meta elimina il programma di fact-checking dalle sue piattaforme. E BUTAC che ne pensa?
La recente decisione di Mark Zuckerberg di eliminare i team di fact-checker indipendenti da Meta ha acceso il dibattito, suscitando reazioni di vario tipo. Non sono mancate le voci di chi, sentitosi vittima della censura di Facebook, ha accolto questa scelta come una vittoria personale, utilizzando toni provocatori per attaccare realtà come BUTAC. Commenti come “Sarete in lutto per questa chiusura” o “Finalmente Zuckerberg ha ammesso che i fact-checkers sono faziosi” si sono moltiplicati sotto ai nostri articoli, e questo ci offre l’occasione di fare chiarezza. Non solo per rispondere a queste insinuazioni, ma anche per ribadire la posizione di BUTAC rispetto alla materia del fact-checking e della censura.
Ma prima voglio condividere con voi il post firmato Massimo Mazzucco che in queste ore sta circolando sui social:
Enrico Mentana resta senza il suo lavoro preferito: quello del censore delle idee altrui. Il nostro Catone nazionale infatti sarà presto spogliato dall’autorità di fact-checker che gli aveva concesso Zuckerberg, grazie alla quale i redattori di Open potevano decidere le sorti dei post su Facebook secondo il loro piacimento.
Meta ha infatti annunciato che da oggi negli USA – e presto nel resto del mondo – verranno revocate tutte le “licenze” ai fact-checkers nazionali che fino ad oggi hanno goduto di questo perverso privilegio censorio.
Attenzione, non è certo che Zuckerberg faccia questo perchè si è ravveduto sul vero ruolo che devono avere i social, che dovrebbe essere quello di garantire la libera espressione di chiunque, nel rispetto delle leggi vigenti. No, Zuckerberg ha fatto questa scelta solo perchè è obbligato a farlo per motivi economici, visto che la popolarità di Facebook è decisamente in declino, mentre X di Musk sta diventando la nuova isola felice della libertà di espressione.
Zuckerberg corre quindi affannosamente dietro a Trump e Musk, ma come “effetto collaterale” noi non dovremo più provare la disgustosa sensazione di vedere un nostro post censurato da un giornalista qualunque, solo perchè costui ha deciso che le nostre idee possono non piacere a quelli che stanno al potere.
Come hanno detto giustamente ieri sera su LA7 Travaglio e Caracciolo, l’unico fact-checker autorizzato a decidere se una notizia è valida o meno è il lettore stesso, che è perfettamente in grado di decidere da solo se si trova davanti ad una bufala o meno, e non ha certo bisogno di un aiuto da parte di “paparino Mentana” per scegliere cosa leggere e cosa no.
Massimo Mazzucco
L’ho voluto condividere perché Mazzucco nel suo attacco frontale a Mentana cade in ulteriore disinformazione, facilmente verificabile. Nel suo post Mazzucco sostiene che Zuckerberg sia stato obbligato alla scelta per motivi di carattere economico (cosa assolutamente condivisibile) solo che nel dirlo Mazzucco sostiene che sia perché X è in crescita mentre Facbeook in declino, ma non è così, Mazzucco non ha fatto alcuna verifica di quanto riporta, e sbaglia. Vi riportiamo da Mashable:
…for the entire month of October, X saw a drop in anywhere from 300,000 to 2.6 million daily active users in the U.S. each day. Since early October, daily active U.S. users have fallen from 32.3 million to 29.6 million, a drop of 8.4 percent.
Ovvero:
… per tutto il mese di ottobre, X ha registrato un calo da 300.000 a 2,6 milioni di utenti attivi giornalieri negli Stati Uniti ogni giorno. Dall’inizio di ottobre, gli utenti attivi giornalieri negli Stati Uniti sono scesi da 32,3 milioni a 29,6 milioni, con un calo dell’8,4%.
E ancora:
According to analysts at Emarketer, from when Musk acquired X in 2022 until 2025, they expect X to have lost 7 million monthly active users in the U.S.
The declining user base pales in comparison to the decline of X’s brand and value. According to a recent report from Brand Finance, X’s brand is now worth 673 million. The brand was valued at $5.7 billion before Musk’s takeover in 2022. When it comes to revenue, X’s revenue fell by 40 percent when compared to the prior year based on internal company data from June 2024.
Che tradotto:
Secondo gli analisti di Emarketer, da quando Musk ha acquisito X nel 2022 fino al 2025, si prevede che X abbia perso 7 milioni di utenti attivi mensili negli Stati Uniti.
Il calo della base di utenti impallidisce rispetto al declino del marchio e del valore di X. Secondo un recente rapporto di Brand Finance, il marchio X vale oggi 673 milioni. Prima dell’acquisizione da parte di Musk nel 2022, il marchio era valutato 5,7 miliardi di dollari. Per quanto riguarda le entrate, quelle di X sono diminuite del 40% rispetto all’anno precedente, in base ai dati interni dell’azienda del giugno 2024.
Facebook invece non ha perso utenti, ma ha continuato a vedere i numeri dei suoi iscritti in crescita, anche nel 2024. Oltretutto l’ordine di grandezza tra Facebook e X è talmente diverso che il paragone è davvero insulso.
BUTAC e il fact-checking: indipendenti da sempre
Prima di tutto è fondamentale chiarire un punto: BUTAC non ha mai fatto parte delle squadre di fact-checking di Meta. Il nostro lavoro nasce ben prima che tali squadre venissero introdotte, ed è sempre stato svolto in modo totalmente indipendente. Non abbiamo mai ricevuto un centesimo da Mark Zuckerberg o da altre piattaforme social. La nostra attività si regge esclusivamente sulle poche, ma preziose, donazioni da parte dei lettori ma, soprattutto, sull’impegno volontario di chi firma quanto state leggendo e di un piccolo gruppo di collaboratori. Nessuno di noi ha mai percepito entrate regolari per il lavoro di fact-checking.
La decisione di Meta, quindi, non ci riguarda direttamente. Continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto: analizzare, verificare e contrastare la disinformazione con la stessa passione e dedizione di sempre, senza alcuna influenza esterna.
Di Zuckerberg, onestamente, non ci importa nulla, avendo già limitato al minimo le nostre attività sui social di Meta da tempo.
Quindi cosa cambia?
Beh, finora i social ti avvisavano con un secco “Questa è una fake news”, in quanto così era stato indicato da dei fact-checker indipendenti. Ora (o comunque a breve) arriverà un più soft del tipo “Alcuni utenti pensano che il tuo contenuto potrebbe essere una fake news”. I fact-checker non hanno mai deciso per l’eliminazione dei contenuti, queste sono decisioni intraprese da Meta stesso ma per le quali adesso è conveniente addossare la responsabilità ai fact-checker.
Un cambio di rotta che non elimina le fake news, ma invita tutti a gettarsi nell’arena a suon di discussioni, insulti e guerre di commenti. Su Twitter (X) funziona così già da un po’ e onestamente non ritengo sia efficace in alcun modo.
Ma a Zuckerberg, Musk o chiunque debba fare i conti con azionisti e quote di mercato la cosa non interessa, poiché lo scopo è chiaro: tenere gli utenti incollati al social, sempre più coinvolti e arrabbiati. Il sistema scelto da X – e che verrà adottato da Meta – è quello che genera più engagement, più interazione, più dati ceduti, più guadagno dalle inserzioni pubblicitarie, che è l’unica cosa che interessa a questi personaggi.
Più vi ingastrite a litigare online, più soldi fanno i proprietari delle piattaforme dove vi ingastrite.
La censura non è la soluzione
BUTAC si è sempre opposto alla censura come strumento per combattere la disinformazione. Lo abbiamo scritto in numerosi articoli e lo ribadiamo con forza. La censura, oltre a essere inefficace, è pericolosa: non fa altro che alimentare la narrativa del martirio. Chi viene censurato si presenta come una vittima, un portatore di “verità scomode” che il “sistema” vuole sopprimere. I suoi sostenitori, a loro volta, si convincono ancora di più della bontà delle sue tesi.
Come funziona il fact-checking
Una cosa che tutt’ora non è chiarissima a chi accusa i fact-checker di essere i “guardiani della verità” è come funzioni il fact-checking. Che non si basa su opinioni e pregiudizi personali, ma appunto su fatti (da cui “verifica dei fatti”). Il fact-checker legge il testo per cui è richiesta la verifica, poi ne analizza le fonti e va a verificare, sulle fonti stesse, se quanto riassunto nella notizia corrisponde a quanto affermava la fonte. Solo a quel punto, in caso la notizia non corrispondesse ai fatti, si mettono insieme i dati, si linkano le fonti e si pubblica un fact check. Che non riporta il parere di chi l’ha scritto, ma appunto si basa sulle fonti della notizia originale, fonti che vengono linkate per permettere a tutti di verificarle. Il metodo è trasparente e, nel caso dei fact-checker di Meta, basato su criteri che Meta ha approvato e che sono liberamente consultabili qui.
I pregiudizi di parte
Ma allora chi accusa i fact-checker di essere di parte dice sciocchezze? Nì, o meglio, un vero fact-checker non dovrebbe avere una parte, se non quella della verità, legata ai fatti. Purtroppo siamo esseri umani e quindi vittime dei nostri bias, pertanto succede che vengano basati i fact-checking sulla base del pubblico, che generalmente ha un proprio orientamento politico: di rimando, le segnalazioni che ci vengono inviate riguardano spesso la fazione opposta. Ma questo non significa essere faziosi, bensì trovarsi più spesso a trattare la disinformazione spinta da una determinata parte politica piuttosto che dall’altra. Come ripetiamo spesso la disinformazione non ha colore politico, al massimo potremmo dire che ci sono attori in gioco che sono più abituati di altri a ricorrere alla disinformazione per portare avanti le proprie battaglie. Ma il metodo rimane lo stesso, trasparente e aperto a tutti per controllare i fatti in autonomia. Anche quelli già verificati dai fact-checker di cui non ci fidiamo.
Il fact-checking non è la soluzione
L’altra cosa che a molti non è chiarissima è che di base la mera verifica dei fatti non serve a eliminare il problema della disinformazione. Noi la portiamo avanti per passione, ma non è grazie ai fact-checker che le cose possono cambiare. Le cose cambiano quando cambiano le teste della gente, e le teste della gente cambiano con l’insegnamento e con un diverso approccio alle notizie. Purtroppo per i tanti – forse troppi, in Paesi come il nostro – anziani convinti di essere grandi saggi è tardi. Ma le nuove generazioni necessitano di insegnanti che sappiano spiegare loro come funzionano i meccanismi della propaganda e della disinformazione, insegnanti che sappiano coltivare lo spirito critico nei loro alunni. Mio figlio, terza media, ha riscontrato delle inesattezze su un suo libro di testo, ma non si è sentito di parlarne con la sua insegnante per paura di sollevare la questione e che la docente possa sentirsi in qualche modo denigrata. Questo è sbagliato: l’insegnante dovrebbe spingere gli alunni a questo genere di dibattiti e osservazioni, perché è anche grazie a questo tipo di confronti che possiamo sperare che crescano senza fidarsi a priori di quel che leggono.
La libertà di espressione deve rimanere sovrana
Tuttavia, ciò non significa che si debba lasciare campo libero alla disinformazione. Esistono leggi e regolamenti che, se applicati correttamente, possono arginare il problema senza ricorrere a team di fact-checker indipendenti. Nel nostro Paese, ad esempio, chi diffonde notizie false atte a turbare l’ordine pubblico o crea procurato allarme può essere perseguito legalmente e sanzionato. Non serve un controllo esterno, ma un’applicazione rigorosa delle norme esistenti.
Se vogliamo combattere la disinformazione in modo efficace, la soluzione non passa dalla censura o da squadre dedicate, ma da un’educazione all’etica giornalistica. Dopotutto, la verifica dei fatti dovrebbe essere parte integrante del lavoro giornalistico. Media tradizionali come giornali, televisioni e radio hanno una responsabilità immensa: troppo spesso, la disinformazione più pericolosa non si annida nei meandri dei social network, ma viene diffusa proprio attraverso questi canali, dove la verifica dei fatti si è dimenticato perfino cosa significa. Serve un cambio di rotta che metta l’informazione e la verifica dei fatti al di sopra di qualsiasi logica di clickbait o profitto immediato.
Concludendo
Questa riflessione non intende essere una risposta alle provocazioni, ma un invito a un dibattito più ampio su come affrontare il problema della disinformazione, guardando oltre la superficie delle decisioni di Meta o delle polemiche di giornata.
maicolengel at butac punto it
Se ti è piaciuto l’articolo, sostienici su Patreon o su PayPal! Può bastare anche il costo di un caffè!
Un altro modo per sostenerci è acquistare uno dei libri consigliati sulla nostra pagina Amazon, la trovi qui.
BUTAC vi aspetta anche su Telegram con il canale con tutti gli aggiornamenti e il gruppo di discussione, segnalazione e quattro chiacchiere con la nostra community.