La leggenda dei grani antichi
Quest’anno ci è capitata più di una segnalazione di articoli trovati in rete che esaltavano i grani antichi, articoli su siti dai nomi come NutriDoc, Vegolosi, ma anche su siti più classici come La Cucina Italiana (che li esaltava già nel 2018). Articoli che sembrano tutti uguali nelle informazioni che forniscono, sia nei contenuti che nella forma. A partire dai titoli:
Grani antichi: quali sono e perché preferirli?
Guida ai grani antichi: cosa sono e perché sceglierli
Grani antichi: 10 buone ragioni per sceglierli
Questi articoli hanno chiaramente un intento commerciale e non divulgativo, e sono stati pubblicati per spingere il consumatore in una specifica direzione. Peccato che quanto questi articoli raccontano sia in buona parte disinformativo, un po’ come quando viene esaltato il biologico, o la biodinamica: dietro questi articoli ci sono specifici gruppi con precisi interessi economici, ai quali della vostra salute a tavola non importa nulla, l’unico interesse che hanno è quello legato alla consistenza dei loro conti bancari.
Oggi faremo davvero poca fatica, perché ci sono altri che prima di noi hanno spiegato come stanno le cose con attenzione e autorevolezza. Quanto segue riassume quanto scritto nel libro “Pane nostro. Grani Antichi, farine e altre bugie” edito dalla casa editrice Il Mulino e scritto dal Prof. Luigi Cattivelli, direttore del Centro di Ricerca Genomica e Bioinformatica (CREA), un bell’articolo apparso nel 2023 sul portale Dottore ma è vero che? e un breve articolo del 2018 che porta la firma degli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità. Quanto segue potremmo considerarla una revisione di varie fonti che parlano appunto di grani antichi.
Marketing
Partiamo col dire che gli articoli che esaltano i “grani antichi” sono tutti uguali perché sono veramente frutto di strategie di marketing, spinte da quei produttori – di cui eviteremo di fare i nomi – che da anni cercano di convincervi che i loro prodotti siano migliori degli altri, produttori che hanno appunto un solo fine, quello di guadagnare di più, anche quando si mettono il vestitino buono e cercano di passare come gli unici a preoccuparsi della vostra salute.
Antichi?
La prima cosa da sottolineare è che i cosiddetti “grani antichi” antichi non sono: si tratta di varietà introdotte tra l’inizio del Novecento e usate fino al Primo dopoguerra, al massimo si potrebbe parlare di grani vecchi, ma ovviamente sarebbe meno suggestivo per chi deve venderli. Come spiegava l’anno scorso il dottor Ercole Borasio, membro dell’Accademia Nazionale di Agricoltura:
In Italia la legge sementiera è stata introdotta con grave ritardo nel 1972 e, solo a partire da quella data, è stato iscritto il Registro Nazionale, al quale devono essere registrate tutte le varietà seminate che hanno superato specifiche prove di differenziabilità, uniformità e stabilità tali da ricevere la certificazione. Oggi le farine sono tutte registrate e controllate dal CREA, mentre i cosiddetti grani antichi non sono iscritti a nessun registro e non hanno regole. Sono grani vecchi che non rispondono più alle esigenze nutritive e produttive di oggi, come si può pensare di nutrire il pianeta con grani non più attuali? E poi se compro una pagnotta di grano antico chi mi garantisce cosa c’è dentro e cosa mangio senza controlli? E’ stato dato valore a qualcosa che non ce l’ha.
Quindi non sono così antichi, e non rispondono agli standard produttivi e di sicurezza che sono richiesti oggi a un prodotto di questo genere.
Sia chiaro, è dal 2022 che il CREA parla di tracciare e classificare criteri di selezione e verifica – perlomeno per i grani siciliani – ma a quanto ci risulta a oggi non si è ancora fatto nulla di concreto, se non parlarne e discuterne in più occasioni.
Salutari?
Per quanto riguarda i benefici per la salute, pare che i grani antichi non ne presentino rispetto a quelli “moderni” – e oltretutto, come abbiamo visto poco sopra, questi ultimi sono regolamentati e controllati, mentre quelli “antichi” no, dunque potrebbero contenere qualcosa di cui non siamo a conoscenza. Partiamo col riportare quanto spiegato da ISS nel 2018:
Per quanto riguarda la quantità di glutine, non è vero che i grani antichi ne contengano meno di quello moderno, e siano quindi più adatti ai soggetti celiaci.
Confermato anche da Dottore ma è vero che?:
Analizzando la percentuale in glutine nelle varietà di grano coltivate negli ultimi due secoli, non sono state riscontrate prove di una tendenza all’aumento. Le variazioni registrate in alcuni anni rispetto al contenuto medio annuale di glutine sarebbero da ricondurre alle particolari condizioni meteorologiche piuttosto che alla varietà di grano coltivata [2, 3]. È noto, infatti, che eventi meteorologici inusuali, insieme a precise caratteristiche del terreno, possono avere ripercussioni significative sul quantitativo di proteine, fra cui il glutine, di alcuni tipi di grano. Dunque, nonostante si senta spesso affermare il contrario, non è vero che i grani “antichi” contengono meno glutine dei grani “moderni”.
Esistono studi che sostengono che i grandi cosiddetti antichi potrebbero esercitare un’attività antinfiammatoria e antiossidante, altri che sostengono che potrebbero ridurre il rischio di alcune patologie croniche, ma si tratta di studi che non permettono di arrivare a conclusioni definitive sia per quanto piccoli erano i soggetti testati sia per la scarsa varietà di grani sottoposti ad analisi.
Convenienti?
I grani cosiddetti antichi richiedono una superficie molto superiore rispetto alle colture moderne per produrre lo stesso ammontare di farina, a livello di sostenibilità sono un bidone completo, dare a intendere diversamente è un errore grave, eppure vediamo con regolarità, su tanti social network post dove ne viene esaltata la resa dando a intendere sia migliore di quelli moderni. Si tratta di bufale, diffuse apposta da consorzi di produttori dei suddetti. Non cascateci.
redazione at butac punto it
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