La situazione economica in Russia
Come in molte situazioni complesse, è difficile spiegare chiaramente le cose tramite eccessive semplificazioni, tifoserie o descrizioni in bianco e nero. Cerchiamo di approfondire
Sulla testata Il Fatto Quotidiano è stato di recente pubblicato un articolo a firma Mauro del Corno, dal titolo:
“Nel 2024 crescita russa tripla rispetto alla zona euro. Le sanzioni sono del tutto inefficaci”
Nell’articolo vengono riprese le parole di Vincent Mortier, responsabile degli investimenti di Amundi, asset manager europeo. Stavolta, insomma, la filastrocca de “le sanzioni hanno fatto più male all’Europa che alla Russia” non arriva (esclusivamente) dai soliti noti, ma da qualcuno dotato di una certa competenza.
Questo breve articolo non si propone di mettere la parola fine a una discussione che andrà sicuramente avanti per gli anni a venire, ma di evidenziare piuttosto quali siano le principali criticità nella comprensione di quanto stia effettivamente accadendo in Russia e, dall’altra parte, di cercare di fare un po’ di chiarezza.
In un articolo di Fortune dello scorso marzo si mettono bene in chiaro alcuni punti essenziali:
- Il governo russo non permette l’accesso agli indicatori economici principali del Paese.
- I dati che abbiamo sono unicamente quelli forniti dalla Banca Centrale Russa e da Rosstat (l’Istat russa).
- Rosstat è nota per aver modificato sia i dati che le metodologie di raccolta dati, limitando così la possibilità di confrontare gli stessi.
- Le stime del FMI si basano su questi dati.
- Alcuni indicatori economici (e non solo) a cui invece si ha accesso sembrano indicare una tendenza differente da quella descritta dalle istituzioni russe.
Tra marzo e aprile l’FMI, l’OCSE e la Banca Mondiale hanno pubblicato delle stime sull’andamento del PIL russo per l’anno corrente: il primo prevedeva un rialzo dello 0.7%, la seconda una contrazione dello 0.2%, mentre l’ultima addirittura una del 2.5%. I recenti avvenimenti hanno portato a un rialzo del prezzo del petrolio col conseguente miglioramento delle aspettative per la Russia, da cui l’espansione del 2.2% prevista dall’FMI e correttamente riportata nell’articolo del Fatto.
Ora, prima di rimanere ingarbugliati tra i numeri, credo che valga la pena chiarire una cosa.
In un contesto come quello che stiamo vivendo da ormai quasi due anni, le stime hanno il valore che hanno: qualsiasi previsione statistica si basa su precise condizioni di partenza, condizioni che, se anche ci fossero note al dettaglio, potrebbero comunque variare da un mese all’altro. Ogni stima, dunque, va presa per quel che è: semplicemente una stima, sulla base della quale è bene non sbilanciarsi in alcun modo. Dati il contesto caotico, l’inattendibilità delle fonti e i differenti metodi di calcolo delle diverse istituzioni internazionali coinvolte, evitiamo di sparare giudizi a destra e a manca.
Ciò detto, riprendiamo l’articolo di Mauro del Corno. Qui viene rimarcato che:
Secondo le stime del colosso europeo del risparmio gestito Amundi, nel 2024 la crescita economica della Russia sarà il triplo di quella della zona euro.
Ecco, l’andamento del PIL della zona euro è tanto facilmente consultabile quanto quello russo. L’area euro ha visto una contrazione solamente nel 2012 e nel 2020 per ragioni note a noi tutti, mentre in Russia la situazione è stata molto più ballerina, essendo sostanzialmente legata alle fluttuazioni del prezzo del petrolio e del gas naturale. Ricordiamoci peraltro che in termini assoluti il PIL russo è stato inferiore a quello italiano dal 2014 all’anno scorso e rimane ancora oggi paragonabile (seppur la popolazione sia tre volte superiore), mentre se il +2.2% dell’FMI è una stima, il -2.1% dell’anno scorso è un dato ormai assodato. Per concludere l’argomento PIL, suggerisco di dare una letta ad un bell’articolo di Meduza del 6 luglio scorso, che oltre a ribadire il dubbio sui dati Rosstat da parte di economisti internazionali, termina facendo presente come non appena le spese per la difesa diminuiranno la crescita economica potrebbe fermarsi.
L’articolo del Fatto prosegue quindi citando malamente Vincent Mortier:
Questi numeri “significano che Stati Uniti, Europa, Giappone ed Australia non sono in grado di sanzionare efficacemente uno stato […] “Le sanzioni, ha continuato, [sic] hanno avuto un qualche effetto in termini di congelamento dei patrimoni personali di qualche individuo ma poco altro.
Sorvolando su quell’orribile “ha continuato” inserito nella citazione come se l’avesse davvero pronunciato il povero Mortier, mi vorrei soffermare su alcuni elementi che ci parlano esplicitamente di effetti ben più visibili di quelli presi in considerazione sia dall’articolista che dal responsabile degli investimenti.
L’economia russa ruota pressocché tutta attorno al gas naturale e al petrolio, che costituiscono circa la metà del suo export e ne fanno un Paese a ridotta complessità economica, sicuramente più ridotta di quella di tutti i grandi Paesi UE: Germania, Francia, Italia e Spagna. Sta’ a vedere che è proprio perché non riescono a produrre da soli ciò di cui hanno bisogno che l’Osservatorio Economico del Ministero degli Affari Esteri ha stimato un innalzamento dell’import russo per l’anno 2023 senza precedenti, con un assottigliamento della bilancia commerciale (differenza export/import) a 121,30 mld di euro, mai così bassa negli ultimi anni a eccezione del 2020. È una stima, per cui vale il discorso fatto sopra, ma il messaggio che vorrei che passasse è questo: chi di stima ferisce, di stima perisce.
Tornando a quel che sappiamo per certo, è interessante notare come, per la prima volta nella storia della Russia moderna, la legge di bilancio firmata dal presidente russo lo scorso 22 novembre prevede un’allocazione di risorse maggiore per le spese militari che per le spese sociali, rispettivamente di 120.8 mld $ e 84.7 mld $ per gli anni 2024-2026. Altrettanto interessante è la sospensione dell’indicizzazione dei salari per tutto il 2024, con eccezione per le forze armate e le forze dell’ordine: d’altronde un qualche incentivo all’arruolamento ci vuole pure. Tutto questo accade dopo che nel corso del 2023 si è registrata una forte perdita di valore del rublo, il cui tasso di cambio col dollaro statunitense è aumentato del 25.80%. Da notare come, a corredo di quanto appena detto, la Banca Centrale Russa ha operato un rialzo dei tassi di interesse al 15%, che fa impallidire quello al 4.5% della BCE.
A corollario di quanto detto aggiungiamo che:
- 38 grandi multinazionali hanno abbandonato la Russia: giusto per capirci, pensate a quando andate a fare un giro supermercato o per le vie del centro della vostra città e provate a immaginarvi gli spazi attualmente occupati da questi 38 grandi marchi semplicemente vuoti, abbandonati.
- Quasi un milione di russi ha lasciato il proprio Paese dall’inizio del conflitto in Ucraina, e non si tratta degli ex dipendenti del McDonald lasciati a casa. Aggiungo che per quanto si tratti di stime da verificare, persino il benevolo FMI ha descritto un calo complessivo di 2.12 milioni di persone nella popolazione russa tra 2021 e 2022, un unicum dal 1989, cioè da quando sono disponibili i dati.
- Non solo le multinazionali se ne vanno e la popolazione diminuisce, ma la svalutazione del rublo può comportare per la Russia un calo del numero di lavoratori stranieri non più attratti dalle prospettive di guadagno nel Paese, quando già nel solo 2022 i lavoratori fino a 35 anni di età sono scesi di 1.3 milioni.
- Intanto da febbraio 2022 l’NWF, il Fondo sovrano russo, ha bruciato quasi 30 mld $ su 175 di partenza. Ora, essendo i suoi principali obiettivi quelli di supportare il fondo pensionistico del Paese da una parte e di finanziare eventuali debiti di bilancio dall’altra, dubito che si sia verificato un aumento così significativo di pensionati: se si fosse verificato, comunque, non sarebbe certo un peso insopportabile per la Russia, dove di media gli uomini si godono la pensione giusto cinque anni prima di lasciarci le penne.
L’articolo del Fatto si conclude con la solita lamentela nei confronti degli USA:
Nel frattempo l’Europa paga oggi il gas il quadruplo rispetto agli Stati Uniti. Quello a basso costo proveniente dalla Russia è stato infatti rimpiazzato in gran parte dal più caro gas liquefatto proveniente soprattutto dal Qatar e dagli stessi Usa.
Insomma ragazzi, sarà pure arrivato il momento di smetterla di usare a sproposito un rialzo del prezzo del petrolio già visibile prima della guerra e un aumento del prezzo dell’energia già in essere prima del conflitto per bofonchiare contro gli USA impegnati nel sostegno all’Ucraina in modi differenti da quelli europei, che dite?
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