La Verità e l’aborto
Su La Verità la settimana scorsa è stato pubblicato un articolo dal titolo:
Il grande silenzio sui rischi per chi abortisce
L’articolo a firma Patrizia Floder Reitter ci racconta che “finalmente” è stato tradotto in italiano il documentario Hush, che illustra le conseguenze negative dell’interruzione di gravidanza. L’articolo non mette in nessun modo in dubbio quanto riportato dal documentario, anzi, lo accoglie calorosamente come un documento di grande importanza.
Ma è davvero così?
Per fortuna le cose non stanno come vorrebbero farvi credere: il documentario, come anche l’articolo de La Verità, sono chiaramente manifesti delle associazioni antiabortiste. Prenderli come oro colato è molto sbagliato. Un po’ come gli articoli della settimana scorsa sul ragazzo che si risveglia mentre stanno per espiantargli gli organi. Fuffa creata apposta da chi vorrebbe che vivessimo nel 1800, molto timorati della divinità e con una scienza medica più indietro di 200 anni. Purtroppo questo genere di disinformazione, in un Paese con una popolazione che tra religione e superstizioni va a nozze da tempo, porta lettori.
Il documentario
Quando uscì nel 2016 lo guardai con la curiosità del debunker, ma in Italia non girava e non ne ho mai ricavato un articolo. Ritenevo sciocco farlo dando rilevanza a quello che avevo considerato alla stregua dei tanti “documentari complottisti” sull’11 settembre. Il fatto che ora sia uscito anche in italiano e che uno dei pochi quotidiani italiani che sembra non risentire della crisi gli dia spazio sono la ragione di quanto segue.
Il film è canadese, su IMDB ha una votazione di 4.8/10. Scarsino, direi. Ma a noi non interessa l’aspetto cinematografico, bensì quello divulgativo. Sulla carta il film ha una regista “pro scelta” un produttore “pro vita” e un secondo produttore neutrale, quindi uno potrebbe pensare si tratti di un documentario che possa rappresentare in maniera accurata le tre visioni. Ma non è così. Siamo a un estremo caso di “giornalismo a tesi” come ne abbiamo visti tanti in passato.
La tesi da dimostrare?
Che l’aborto sia tutt’altro che sicuro. Tutto il film punta solo a quello scopo, ed è ovvio che a furia di cherry picking lo spettatore ne esca preoccupato. Un giornalista però dovrebbe essere in grado di distinguere tra un’opera a tesi o una correttamente argomentata.
Nel film sono riportate trenta testimonianze di soggetti che hanno, secondo copione, qualcosa a che fare con le interruzioni di gravidanza. Di queste testimonianze 22 sono di “esperti” anti abortisti, 6 di donne che sostengono di aver subito gravi danni dall’aborto e solo 2 sono di veri esperti sul tema: Brenda Major e David A. Grimes (ex direttore del dipartimento di sorveglianza sulle interruzioni di gravidanza del CDC). Questo tipo di tattica è molto comune: farci sentire pareri di due fazioni opposte creando nello spettatore un’idea di imparzialità, quando in realtà si sta dando ampio spazio solo alla fazione di cui si vuole realmente far sentire la voce. Purtroppo il giochino funziona benissimo, specie su una popolazione dotata di scarso spirito critico.
La denuncia di David A. Grimes
Grimes stesso ha denunciato ai giornali, con un lungo articolo sull’Huffington Post, la scorrettezza del film. Evidenziando come la visione fosse sbilanciata in partenza con quelle 28 testimonianze antiabortiste contro solo due veramente scientifiche.
Grimes ha pubblicato il suo dissenso nel 2016, è un peccato che La Verità eviti attentamente di farne cenno. Oltre al trucchetto del false balance il film è frutto di scrupoloso cherry picking, sui tantissimi studi esistenti sulle interruzioni di gravidanza ne hanno selezionati solo i 21 che portavano acqua alla tesi del film, ignorando totalmente la rimanente letteratura scientifica sul tema.
Sia chiaro, è dal 1982 che la scienza indaga se l’interruzione di gravidanza possa causare un incremento nei tumori del seno o problemi nelle successive gravidanze. Ma in quasi 40 anni di ricerca non sono state trovate prove di queste possibili problematiche. Sostenere il contrario basandosi sul cherry picking non è informare, ma disinformare.
Come spiega Grimes il documentario ha tutti i criteri per essere considerato un prodotto delle peggiori correnti pseudoscientifiche, legate più all’integralismo religioso che alla verità.
Non credo che sia necessario aggiungere altro.
maicolengel at butac punto it
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