Le ricerche scientifiche e le testate inaffidabili
Analizziamo l'ennesimo "studio" che sembra essere stato messo in giro appositamente per fornire munizioni ai no vax
Un lettore ci ha segnalato che in questo momento uno “studio” sta diventando virale in specifici contesti social.
Lo “studio” che ci ha linkato s’intitola:
BioNTech RNA-Based COVID-19 Injections Contain Large Amounts Of Residual DNA Including An SV40 Promoter/Enhancer Sequence
Ed è stato pubblicato sul sito Public Health Policy Journal, nome che onestamente non avevamo mai sentito prima d’ora.
La “testata”
La prima cosa che va sottolineata è che publichealthpolicyjournal è in tutto e per tutto un blog, non una testata scientifica, un blog come quello che state leggendo in questo momento. Pertanto – anche se scrivono che quanto pubblicano è stato revisionato – ci troviamo di fronte a una fonte inaffidabile, che se anche davvero facesse le revisioni a quanto pubblica non avrebbe una commissione di revisori all’altezza delle vere testate scientifiche. La cosa però non dovrebbe sorprenderci visto che il sito è stato aperto nel 2020 da James Lyons-Weiler, uno scienziato americano noto per le sue posizioni antivacciniste. Guarda caso a dirigere la sezione clinica del sito troviamo Peter McCullough, e sempre nella stessa sezione leggiamo il nome di Didier Raoult. Insomma, siamo su un sito dove in posizione chiave operano soggetti che durante la pandemia si sono contraddistinti per la quantità di disinformazione che diffondevano.
Questa dinamica è ormai un classico nella disinformazione scientifica online: creare una piattaforma dall’aspetto apparentemente autorevole per conferire credibilità a studi che, nella migliore delle ipotesi, avrebbero difficoltà a superare una revisione paritaria rigorosa. Public Health Policy Journal, in questo caso, non fa eccezione.
Lo studio
Analizzando lo studio ci si accorge fin da subito del pregiudizio degli autori dello stesso. Nessuno scienziato serio, infatti, titolerebbe come fatto sopra, un titolo che in italiano suona più o meno così:
Le iniezioni a base di RNA per il COVID-19 di BioNTech contengono grandi quantità di DNA residuo, inclusa una sequenza promotrice/enhancer SV40
Uno scienziato serio avrebbe usato il termine (corretto) “vaccini”, ed evitato quell’allarmistico “grandi quantità di DNA residuo”, specie nel titolo. Ma qui si vuole fare sensazionalismo, probabilmente consci che la maggior parte delle persone che leggeranno il titolo dello studio non ha gli strumenti per poter comprendere cosa dica. Ma per chi mastica un minimo di genetica e biologia molecolare, quel titolo appare immediatamente problematico, non solo per il tono allarmista, ma anche per la sua base scientifica inesistente.
Lo ricordiamo per l’ennesima volta: qualsiasi trattamento medico deve seguire degli standard rigorosi di purezza e sicurezza. Ci sono enti regolatori come FDA e EMA che vigilano e che sottopongono i farmaci di ogni genere a specifici test per contaminanti, compresi residui di DNA plasmatico. L’eventualità di “grandi quantità” di qualsiasi elemento estraneo non è solo improbabile, ma semplicemente impossibile.
Ma perché citano l’SV40?
Di SV40 qui su BUTAC abbiamo già parlato tempo fa, ben prima della pandemia. SV40 sta per Simian Virus 40. L’uso di SV40 nel titolo dello “studio” non ha altro scopo se non quello di alimentare paure irrazionali in chi non ha familiarità con i controlli nei laboratori di genetica molecolare dove vengono prodotti i vaccini. L’SV40 viene usato talvolta nei laboratori di biotecnologia per stimolare determinate reazioni in esperimenti controllati, ma il suo uso è limitato a specifici ambiti di ricerca e non ha alcun ruolo nei vaccini a mRNA come quelli di BioNTech.
Così viene diffusa la disinformazione scientifica
Riteniamo sia di importanza cruciale comprendere come questo tipo di contenuto pseudoscientifico viene diffuso. Come abbiamo visto si parte da un sito dall’aspetto autorevole, che viene sfruttato per pubblicare la ricerca. Poi si passa alla condivisione sui social, prima nei gruppi chiusi su piattaforme dove le forme di controllo dei contenuti sono pressoché nulle e dove il pubblico di riferimento è già predisposto a credere a tesi anti-sistema.
Chi per primo diffonde questo genere di contenuti sa benissimo che arriveranno fact-checker e scienziati esperti della materia a smontare in brevissimo tempo quanto diffuso. Lo dimostrano i modi molto superficiali con cui vengono pubblicati questi “studi”, che dimostrano la mancanza di una reale intenzione di approfondire la materia in esame. Lo scopo è un altro, ovvero il diffondere dubbi e paure, e su quelle polarizzare il proprio pubblico di riferimento.
Concludendo
Non è la prima volta che trattiamo contenuti di questo genere e purtroppo non sarà l’ultima, contenuti pseudoscientifici realizzati per sembrare reali. Come sempre invitiamo chi ci legge a non attaccare chi condivide questo genere di “studi”, ma a cercare di approcciarlo in maniera più soft, cercando di trovare punti di contatto comuni. Solo con la calma è possibile aiutare chi è spaventato, solo immedesimandoci è possibile cercare di far capire il nostro punto di vista.
maicolengel at butac punto it
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