Le rivolte in UK, la disinformazione e…

...le considerazioni di un fact checker italiano

Come molti di voi avranno visto sui media italiani e internazionali negli ultimi giorni il Regno Unito è stato scosso da una serie di violente rivolte in diverse città, con bersagli specifici contro moschee e comunità musulmane. Episodi che sono stati innescati dalla diffusione di informazioni false riguardo al tragico (e ancora senza un vero movente) attacco a Southport del 29 luglio scorso che ha portato a tre bambini morti e oltre dieci feriti.

Gli episodi sono stati innescati in larga parte dalla disinformazione che è circolata sui social, disinformazione che, a quanto riportato dai media britannici, è stata lanciata prima di tutti da un sito, Channel3Now, che avrebbe erroneamente indicato come autore dell’attacco un ragazzo musulmano richiedente asilo. Ma, per l’appunto, questo si è rivelato falso. Il vero autore dell’attacco è il 17enne Axel Rudakubana, nato a Cardiff da genitori emigrati dal Rwanda.

BBC News ha fatto qualche indagine sul sito da cui è partita tale disinformazione, con un lungo articolo di Marianna Spring pubblicato il 7 agosto. Si tratta di un articolo molto interessante, in quanto la giornalista – specializzata da anni in disinformazione e teorie del complotto – è riuscita a tracciare i collegamenti tra Channel3Now e diversi individui sparsi in varie parti del mondo, tra cui un giocatore di hockey amatoriale canadese e un uomo pakistano. Ma, nonostante le voci che collegavano il sito al governo russo, l’inchiesta non ha trovato prove a sostegno di questa teoria.

Il sito di Channel3Now, per come i suoi admin hanno risposto alle domande della giornalista, sembra essere un’operazione commerciale nata nel 2023, che punta a generare entrate aggregando notizie di cronaca e amplifica i propri contenuti sfruttando i social media. Channel3Now insomma è un sito che monetizza diffondendo news, in buona parte accurate, ma casca nel clickbait, come abbiamo visto succedere a tanti media internazionali negli ultimi anni.

In seguito alla diffusione di queste notizie false, Channel3Now ha visto sospeso il proprio canale YouTube, mentre i suoi account su X continuano a essere attivi. La disinformazione generata dal sito è stata amplificata da influencer e profili che promuovono teorie del complotto e idee di estrema destra, molti dei quali hanno tratto profitto dalle visualizzazioni grazie alle nuove politiche di monetizzazione di X – inclusi, come spiega Spring, profili legati alla disinformazione filorussa. Questa tattica l’abbiamo vista anche in precedenza da parte di profili vicini al Cremlino che diffondono disinformazione, e che sfruttano i loro follower (e spesso i bot) per dare ulteriore respiro a notizie che altrimenti scomparirebbero velocemente dai social.

Nonostante le richieste di un’azione più incisiva da parte dei politici, le leggi attuali del Regno Unito non trattano la disinformazione, lasciando alle piattaforme social la responsabilità di gestire questi contenuti.

In Italia come ben sappiamo la situazione è ancora peggiore, e ce ne accorgiamo pensando a quanto poco si stia facendo verso i tanti soggetti che vengono lasciati liberi di diffondere ogni genere di disinformazione spingendo chi li segue a gesti di odio: inizialmente si trattava di “semplici” atti di vandalismo online – dalle shitstorm alla diffamazione – poi si è passati agli atti vandalici dal vivo. Il passo per arrivare alle rivolte violente che abbiamo visto nel Regno Unito può essere davvero breve.

Purtroppo l’idea che ci siamo fatti, come fact checker, è che l’interesse nel contrastare la disinformazione sia scarso da parte della politica. Anzi a volte sembra quasi che, in questa terra di mezzo in cui il cittadino fatica a riconoscere cosa sia vero e cosa falso, alcuni ci sguazzino benissimo. Sia chiaro, quando parliamo di contrasto alla disinformazione non stiamo parlando di censura, che sarebbe assolutamente controproducente, ma di limitare i principali attori che diffondono disinformazione, sanzionandoli quando necessario, allontanandoli dal web quando violano la legge.

E di leggi alcuni di questi soggetti ne violano in abbondanza, un elenco non esaustivo:

  • art 656 c.p. Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico
  • art 658 c.p. Procurato allarme presso l’Autorità
  • art. 661 c.p. Abuso della credulità popolare

E potremmo andare avanti citando leggi sulle truffe, sulla concorrenza sleale, sulla diffamazione. Il problema è che serve il polso di ferro, non si può punirne uno e lasciare altri liberi di continuare nella loro opera disinformativa.

Ovviamente servirebbero in parallelo campagne per il cittadino per spiegare come riconoscere la disinformazione, campagne che istruissero i tanti che si sono riversati in rete durante la pandemia a riconoscere una fonte affidabile da una ricca di pregiudizi, ma come si può fare questo genere di opere educative quando le stessi reti statali sono in mano a gente che disinforma? No, non faremo nomi, non serve, chi ci legge ha ben presente di quanti soggetti abbiamo parlato in questi anni, e quanti di questi hanno potere mediatico ben superiore a dei semplici fact checker. Chi invece è finito qui per sbaglio e non sa a chi facciamo riferimento potrebbe fare un salto nel passato e rileggersi i tanti articoli che ricadono nella categoria Giornalismo pubblicati negli anni, troveranno tanti nomi noti, oltre a tanti anonimi.

Non credo davvero serva aggiungere altro, come dicevo all’inizio si tratta solo delle mie considerazioni, sarebbe bello sentire anche il vostro parere.

maicolengel at butac punto it

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