Mattarella, il Terzo Reich e l’aggressione russa

Blasfemia o analogia sensata?

Il 16 febbraio scorso Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli esteri russo, ha risposto duramente al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a seguito di un discorso tenuto all’Università di Marsiglia durante una lectio magistralis in occasione del conferimento della laurea honoris causa.

Ora, quello che si intende fare in questo articolo non può propriamente definirsi fact-checking; ci si vuole piuttosto soffermare su quanto detto da Mattarella e da alcuni commentatori italiani per provare a dare un minimo di profondità alla trattazione di tematiche tanto rilevanti quanto delicate, cercando di proporre a voi lettori degli spunti di riflessione e magari stimolando della sana curiosità. Al commento della Zakharova sarà invece dedicato un articolo a parte, poiché ben si presta all’approfondimento di altre questioni piuttosto rilevanti.

Partiamo dunque dal discorso di Mattarella:

La storia, in particolare quella del XX secolo, ci ha insegnato che quest’ordine [quello internazionale ndr] è un’entità dinamica, subordinata a equilibri che, ovviamente, non sono immuni dall’essere influenzati da tensioni politiche, cambiamenti economici.

Spesso, gli squilibri che affiorano hanno radici remote: negli strascichi lasciati dai conflitti del passato. Oppure corrispondono a pulsioni, ad ambizioni di attori che ritengono di poter giocare una partita in nuove e più favorevoli condizioni, con l’attenuarsi delle remore rappresentate dalle possibili reazioni della comunità internazionale e l’emergere di una crescente disillusione verso i meccanismi di cooperazione nella gestione delle crisi. Quegli strumenti nati per poter affrontare spinte inconsulte dirette a riaprire situazioni già regolate in precedenza sul terreno diplomatico. […]

Una riflessione sul futuro dell’ordine internazionale non può prescindere da un esercizio di analisi che, guardando alle incertezze geopolitiche che oggi caratterizzano il nostro mondo, richiami alla memoria la successione di eventi, di azioni o inazioni, che condussero alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale.

La storia non è destinata a ripetersi pedissequamente, ma dagli errori compiuti dagli uomini nella storia non si finisce mai di apprendere.

La crisi economica mondiale del 1929 scosse le basi dell’economia globale e alimentò una spirale di protezionismo, di misure unilaterali, con il progressivo erodersi delle alleanze. La libertà dei commerci è sempre stata un elemento di intesa e incontro. Molti Stati non colsero la necessità di affrontare quella crisi in maniera coesa, adagiandosi, invece, su visioni ottocentesche, concentrandosi sulla dimensione domestica, al più contando sulle risorse di popoli asserviti d’oltremare.

Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali.

Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto – anziché di cooperazione – pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi a una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista.

Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa.

L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura.

Le ultime due righe sono quelle che hanno fatto scalpore, ma non possiamo isolarle da quelle precedenti, pena la loro decontestualizzazione, origine della strumentalizzazione e primo passo verso la polemica.

In esse Mattarella parla del progressivo ritrarsi della comunità internazionale entro logiche prettamente nazionali, la cui incapacità di dare risposte concrete ad una crisi comune ha portato alla risposta eminentemente ideologica fornita da Hitler. L’indebolimento della rete di relazioni internazionali, le cui maglie sempre più larghe e deteriorate non seppero contenere le mire espansionistiche hitleriane, avrebbero poi aperto la strada alla Seconda Guerra Mondiale.

Sulle ragioni che portarono alla guerra nel 1939 sono stati scritti, letteralmente, fiumi di inchiostro. Esse sono molteplici, ciascuna meritevole di approfondimento ed impossibili da affrontare qui da chi scrive o da Mattarella in una lectio magistralis. Quello su cui tutti gli storici concordano è però che l’atteggiamento accondiscendente dei Paesi europei verso l’espansionismo tedesco (“l’attenuarsi delle remore rappresentate dalle possibili reazioni della comunità internazionale” appunto) dette un apporto fondamentale a quegli “squilibri che affiorano” verso fine anni Trenta e culminano infine nello scoppio della guerra. Ma essi sono stati determinati anche da fenomeni dalle “radici remote”.

Il crollo dell’Impero Tedesco aveva determinato una forte ridefinizione di quella nazione tedesca unificata dal cancelliere Bismarck col ferro e col sangue: a ovest l’Alsazia-Lorena, territorio a lungo conteso con la Francia e preso dalla Germania nel 1871, era stata ripresa dai francesi nel 1919; a nord la città di Danzica, affacciata sul Mar Baltico, era stata proclamata città libera e la ricostituita Polonia era stata collegata ad essa tramite una striscia di terra denominata appunto Corridoio di Danzica, così da garantirle uno sbocco sul mare, finendo però per dividere la Germania dalla Prussia Orientale; a nord parte dello Schleswig tornò alla Danimarca; a sud, infine, i rapporti già prima ambivalenti con Vienna e poi il crollo dell’Impero Austro-Ungarico, con la nascita di tanti staterelli indeboliti, non lasciavano presagire nulla di buono. Il risultato fu una Germania territorialmente divisa, ridotta a più stretti confini e minoranze tedesche sparse per i paesi limitrofi.

Su questo stato di cose si innesta la rielaborazione hitleriana del concetto ottocentesco di Grande Germania, un unico e vasto Stato dell’Europa centrale capace di riunire tutte le popolazioni di origine tedesca.

“E furono guerre di conquista.”

Capite bene che la situazione appena descritta mostra delle analogie con quella della Russia post-sovietica, debole erede della potente URSS, quando forti minoranze russe si trovarono sparse nei Paesi confinanti di Ucraina, Bielorussia, Lituania, Estonia e Lettonia coi quali, a eccezione dell’autoritaria Bielorussia, Mosca ha sempre fatto fatica a comunicare su un piano, per così dire, non strettamente economico. Basti pensare al fatto che le tre Repubbliche baltiche fanno risalire la loro indipendenza al 1920 e parlano di occupazione sovietica dal ’40 al ’90, mentre per Mosca è proprio al 1990 che essa risalirebbe, in quanto nel ’40 i Baltici decisero l’ingresso nell’URSS tramite referendum (indetto sotto occupazione); oppure si pensi al fatto che mentre in Ucraina l’Holodomor, cioè la carestia provocata da Stalin tra ’32 e ’33, si è imposto come simbolo identitario, Putin in Russia ha proceduto alla rivalutazione della figura di Stalin e a quella dell’Unione Sovietica in generale. Da una parte ci si stringe attorno al doloroso ricordo delle vittime, dall’altro si esalta la figura del carnefice.

Questi sono solo alcuni degli esempi di come da parte russa ci sia stato un persistente rigetto del confronto e dell’elaborazione storica di determinati eventi. Essi risultano rivelatori di un senso di superiorità dell’ex centro di potere moscovita nei confronti delle ex Repubbliche sovietiche, come se a scrivere la loro storia potesse essere solamente Mosca, come se Kyiv, Vilnius, Riga e Tallinn fossero russe.

Ricordiamo quanto detto da Putin a tre giorni dall’inizio dell’invasione, il 21 febbraio 2022:

Desidero sottolineare ancora che l’Ucraina non è un semplice paese confinante per noi. Esso è una parte inalienabile della nostra storia, cultura e del nostro spazio spirituale. Lì ci sono i nostri compagni, coloro che ci sono più cari, non solo colleghi, amici e persone che prestarono servizio insieme a noi, ma anche parenti, persone con legami di sangue e famigliari. Da tempo immemore, le persone stanziate nel sud-ovest di quella che storicamente è stata la terra russa [in questo modo si riferisce all’Ucraina ndr] hanno chiamato se stessi russi e cristiano-ortodossi […]

Ci sembra che, in generale, tutti noi siamo a conoscenza di questi fatti, che questo sia un sapere comune. Eppure è necessario dedicare almeno qualche parola alla storia di tutto questo per capire quello che sta accadendo oggi, per spiegare le ragioni dietro le azioni della Russia e quello a cui miriamo.

Al minuto 01:56 le sue parole sono inequivocabili:

Inizierò dal fatto che l’Ucraina moderna è stata interamente creata dalla Russia o, per essere più precisi, dai bolscevichi, dalla Russia Comunista. Questo processo è iniziato praticamente subito dopo la rivoluzione del 1917 e Lenin e i suoi compagni l’hanno fatto in un modo estremamente duro per la Russia, separando, recidendo quello che è storicamente territorio russo.

Queste parole, essendo rivolte a tutta l’Ucraina – Paese il cui nome non viene peraltro mai pronunciato da Putin in questi passaggi – non solo mettono ampiamente in discussione gli intenti “umanitari” dell’intervento a difesa dei soli russofoni, ma mostrano anche chiaramente la violenza ideologica insita nell’idea putiniana di “Russia” e non possiamo fingere che non sia così solamente perché abbiamo dato per scontato che l’invasione dell’Ucraina sia stata una reazione all’allargamento della NATO.

Vale la pena ricordare anche alcuni significativi passaggi dell’intervista rilasciata da Putin a Tucker Carlson l’8 febbraio 2024. Questo è l’inizio della conversazione:

Carlson: Grazie Presidente. Il 22 febbraio 2022 ha rivolto un discorso all’intera nazione quando il conflitto in Ucraina è iniziato e ha affermato che stava agendo poiché giunto alla conclusione che gli Stati Uniti, attraverso la NATO, avrebbe potuto sferrare un attacco a sorpresa al suo Paese e alle orecchie americane questo è sembrato paranoico. Ci dica perché crede che gli Stati Uniti potrebbero d’un tratto colpire la Russia, come è arrivato a tale conclusione?

Putin: Non voleva significare esattamente che gli Stati Uniti volessero colpire di sorpresa la Russia, io non ho detto questo. Siamo in un talk show o in una discussione seria?

Carlson risponde preparandosi a indossare gli occhiali per leggere la citazione esatta, quando Putin riprende la parola per iniziare, dal nulla, a parlare di cosa accadde nel lontano 862. Non 1862, ma proprio 862, IX secolo d.C.

Quindi Carlson segue in silenzio con viso alquanto perplesso e solo dopo l’ennesimo tentativo fallito (il sesto per la precisione) di portare la conversazione sul tema NATO riesce a far pronunciare a Putin le prime parole a riguardo. Siamo al minuto 27:12.

Risulta evidente, sia per il tempo speso a parlarne che per il fatto di aver imposto al suo interlocutore di ascoltarlo, che quell’idea di Russia di cui scrivevo sopra si alimenta di interpretazioni puramente ideologiche della storia di quei territori e dei popoli che li abitarono.

L’assurdità di tali ricostruzioni è messa a nudo persino da un giornalista come Carlson che non brilla certo per professionalità. Infatti, dopo che Putin ha spiegato come larghe porzioni del territorio ucraino siano state sottratte ad altri Paesi a partire dal 1654 in poi, al minuto 18:41 l’ex Fox News domanda:

Crede che l’Ungheria abbia il diritto di avere indietro i suoi territori dall’Ucraina e che le altre nazioni abbiano anch’esse il diritto di tornare ai confini del 1654?

Seguono tre lunghissimi secondi di silenzio.

Chiarendo ora che non si tratta di un attacco personale, ma della scelta di un esempio capace di rappresentare le posizioni e le parole di personaggi pubblici, quando Peter Gomez afferma che:

Se quell’accostamento fatto da Mattarella fosse vero, allora dovrebbe passare l’idea che qualunque aggressione di un paese nei confronti di un’altro [sic] sia nazista

non fa che storpiare le parole di Mattarella e ignorare o dimenticare ciò di cui si è parlato fin qui. Proprio come dice il direttore del Fatto, non dovremmo chiamare “nazista” l’aggressione all’Iraq, perché, semplificando, l’invasione statunitense non fu dettata dal desiderio di creare una Grande America e riunire in essa tutto il “popolo americano”.

L’invasione dell’Iraq e quella dell’Ucraina sono certo entrambe invasioni, esattamente come un pino e una quercia sono entrambi alberi, ma la loro “natura” rimane diversa perché maturate in contesti storico-culturali e mosse da ragioni e aspirazioni profondamente diverse.

Questo non vuol dire giustificare l’invasione del 2003, ma seguire un suggerimento dato dallo stesso Gomez:

Se usiamo le parole a caso e diciamo che tutte le cose sono uguali, allora perdiamo le differenze e va a finire che qualcuno giustifichi l’ingiustificabile.

Di analogie, dunque, ce ne sono: da una parte c’è infatti una Germania sconfitta e frammentata che ha visto l’ascesa di un dittatore che ha invaso i Paesi limitrofi con la scusa di portare protezione agli individui di origine tedesca, in realtà sulla scorta di una modernizzata ideologia ottocentesca di Grande Germania; dall’altra c’è invece una Russia post-sovietica dal cui centro di potere le ex Repubbliche si sono allontanate, che ha visto l’ascesa di un dittatore che ha a sua volta ordinato l’invasione di un Paese confinante con la scusa di fornire protezione alle popolazioni russofone (o etnicamente russe a piacimento), ma in realtà sulla scorta di un’idea di Russia che affonda le sue radici in una costruzione ideologica nella quale l’Ucraina è parte integrante dello spazio russo.

A chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui consiglio la lettura di due brevi ma densissimi libri per approfondire l’ideologia putiniana: L’Ucraina e Putin. Tra storia e ideologia, di Andrea Graziosi (professore ordinario di storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli dal 2000, Associé del Centre d’Etudes du monde russe, Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales dal 1995, Fellow della Harvard Ukrainian Research Institute dal 2008, Fellow al Davis Center for Russian Studies, Harvard University dal 2009), Laterza, 2022; La “Pace russa”, di Adriano Dell’Asta (professore associato di Lingua e Letteratura Russa all’Università Cattolica di Brescia e di Milano, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Mosca dal 2010 al 2014), Editrice Morcellanea, 2023.

Avviandoci alla conclusione, risulta chiaro perché Mattarella non si soffermi nel suo discorso su tutto quanto scritto in questo articolo, ma approfitti dell’occasione per fare appello a un’unità europea la cui necessità va ben oltre le contingenze storiche del momento che stiamo attraversando. L’analogia da lui proposta è invece, ad avviso dello scrivente e sulla base di quanto scritto nel presente articolo, affatto superficiale o strumentale, bensì sorretta da solidi e significativi elementi sui quali varrebbe la pena riflettere a fondo.

Chiudo riportando una serie di passaggi che vanno dal minuto 11:53 al minuto 13:40 dell’intervista sopra citata. Il discorso è lo stesso dall’inizio alla fine e consiglio a tutti di recuperarlo per intero, perché nel suo delirio storico-interpretativo finisce per pronunciare parole tanto sconcertanti quanto rivelatrici di cui non è dato sapere se riesca a cogliere le analogie con quanto accaduto tre anni fa o se deliberatamente scelga di ignorarle:

Putin: Hitler ha proposto alla Polonia un trattato di pace e di amicizia, ma affermando che la Polonia dovesse restituire il Corridoio di Danzica alla Germania [il riferimento è a questo trattato, ndr] […] Dopo la Prima Guerra Mondiale quella parte di territorio era stata trasferita alla Polonia […] è apparsa la città di Danzica […] quindi Hitler ha chiesto in modo amichevole di restituirgliela [nel 1934 col trattato di cui sopra, ndr], loro hanno rifiutato, ma hanno continuato a collaborare con Hitler e si sono spartiti la Cecoslovacchia […]

[13:10] Prima della Seconda Guerra Mondiale la Polonia non ha accettato le rivendicazioni di Hitler, le domande di Hitler, ma ha partecipato alla spartizione della Cecoslovacchia, ma non ha restituito il Corridoio di Danzica alla Germania. I polacchi hanno giocato troppo [“played too much“] e il risultato è stato che Hitler ha iniziato la guerra contro di loro […] La Polonia non è scesa a compromessi e Hitler ha dovuto [“had to“] iniziare con lei.

Quest’ultima parte viene tradotta diversamente in una trascrizione della Parlamentskaya Gazeta, giornale controllato dal Cremlino:

Nondimeno i polacchi l’hanno costretto [“the Poles nevertheless forced it“], si sono lasciati trasportare e hanno costretto Hitler [“forced Hitler“] ad iniziare la Seconda Guerra Mondiale con loro. Hitler non ha avuto scelta [“Hitler had no choice“] per implementare i suoi piani se non iniziare con la Polonia.

Che anche l’attuale presidente degli Stati Uniti faccia sua questa visione è a dir poco allarmante.

RC

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