La morte cerebrale, l’espianto di organi e i “miracolosi risvegli dal coma”

Cerchiamo di fare chiarezza su un tema che andrebbe trattato con delicatezza e che invece i media sfruttano per fare sensazionalismo

Oggi trattiamo una storia che arriva da un passato recente, o meglio: sfruttiamo quella storia per trattare un tema che ci sta molto a cuore visto che, anche ultimamente, sui quotidiani sono state diffuse storie simili, come è successo molte altre volte in passato.

Oggi trattiamo la vicenda di George Pickering III. I fatti si svolgono nel 2015, all’epoca Today ci raccontava:

“Non staccate la spina a mio figlio”: prende in ostaggio i medici e il giovane si sveglia dal coma

Il racconto nel dettaglio:

“Se sono qui adesso è solo grazie a mio padre”. E dire che il gesto dell’uomo all’inizio era sembrato del tutto folle.

George era ricoverato in coma in un ospedale di Houston, il Tomball Regional Medical Center, a seguito di un ictus. Dopo settimane di ricoveri i medici avevano stabilito la sua morte cerebrale chiedendo ai familiari di poter staccare la spina e terminare lentamente le operazioni che lo tenevano in vita. La madre del ragazzo e i fratelli avevano accettato e George era già entrato nel registro dei donatori di organi. Ma il padre, deciso a tutto per non permettere che gli fosse staccata la spina, si presentò in ospedale armato di pistola.

Come potete immaginare George III si è svegliato da quel coma e ha potuto raccontare i fatti. Ma il racconto – ripreso dai giornali di tutto il mondo – ha un piccolo problema: si basa unicamente sulla versione fornita da George II, senza altre fonti a confermare i dettagli. Gli ospedali, vincolati dalle leggi sulla privacy, non possono controbattere pubblicamente. Ma un elemento chiave emerge: George II non ha mai intentato causa all’ospedale, cosa che negli Stati Uniti, se i fatti fossero andati come raccontato, avrebbe potuto portare a un risarcimento di milioni di dollari. E perché, quindi, non ha fatto causa?

Perché non poteva. Non ha fatto causa in quanto i fatti non si sono svolti come narrato dai giornali di mezzo mondo.

Secondo i documenti legali, la Corte aveva nominato la madre di George III (ex-moglie di George II) e il fratello di George III come responsabili delle decisioni mediche, perché George II era noto per essere una persona instabile, aggressiva e con problemi di alcolismo. Al momento della sua incursione armata in ospedale, a quanto pare, era addirittura ubriaco. La decisione di sospendere il supporto vitale non fu presa dai medici, ma dalla madre e dal fratello, che agirono in base a quello che ritenevano essere il desiderio di George III. Questo dettaglio è cruciale: George II non aveva l’autorità legale per intervenire, e i suoi tentativi di fare ricorso furono tutti respinti per mancanza di prove di negligenza o cattive pratiche.

Il sensazionalismo che fa male

La rappresentazione dei medici e degli infermieri come “predatori di organi” è profondamente sbagliata. Quando un paziente è vicino alla morte, l’ospedale contatta i centri per la donazione di organi allo scopo di monitorare la situazione e rispettare le volontà del paziente. Non si tratta di una “corsa agli organi”, ma di un’azione necessaria per onorare quelle che vengono definite direttive anticipate. Inoltre, il termine “morte cerebrale” è spesso frainteso: è una diagnosi rigorosa e definitiva basata su parametri che abbiamo approfondito qui, non una condizione temporanea.

Articoli come questo, basati su narrazioni parziali e sensazionalistiche, alimentano paure infondate sulla donazione di organi – tema che andrebbe invece trattato con grande delicatezza – e gettano discredito sul personale sanitario, già sotto pressione per le tante campagne populiste contro la medicina e la scienza. Il risultato è un ulteriore clima di sfiducia e odio verso chi lavora ogni giorno per salvare vite.

Cosa possiamo imparare

Le decisioni mediche, specialmente quelle riguardanti il fine vita, sono tra le più difficili e delicate. Presentarle in modo sensazionalistico, senza considerare i fatti e il contesto, non solo distorce la realtà, ma crea danni concreti: disinformazione, sfiducia nei confronti del sistema sanitario e ostilità verso i medici.

Un giornalista serio dovrebbe fermarsi e chiedersi: questa storia è davvero come viene raccontata? Ha senso riportarla come sostenuto dalle agenzie di stampa o andrebbe approfondita meglio, magari intervistando esperti del settore? In un momento storico in cui la scienza e la medicina sono sotto attacco, raccontare la verità è più importante che mai.

maicolengel at butac punto it

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