I servizi della Rai del 2016

La riproposizione di vecchi contenuti spacciati per scomode verità che oggi non verrebbero raccontate non è altro che propaganda sulla propaganda

Ci state segnalando servizi giornalistici andati in onda sui canali statali italiani nel 2015 e 2016, servizi come questo o questo intitolato Fratello contro Fratello, che parla di “guerra civile” in Ucraina, o la prima parte del servizio di Nemo che romanticizzava certe figure di italiani andati a combattere sul fronte filorusso.

I video vengono condivisi con toni indignati, sostenendo che oggi sia in atto una presunta censura mossa da “propaganda occidentale”, quando invece dieci anni fa si aveva il coraggio di raccontare le cose per come erano veramente.

Ma dietro questa narrazione si cela una strategia ben precisa: la riproposizione di vecchi contenuti spacciati per scomode verità che oggi non verrebbero raccontate non è altro che propaganda a sua volta, come lo erano i servizi del 2016. Questi servizi non erano espressione di un “giornalismo coraggioso”, ma di un racconto parziale che già all’epoca distorceva la realtà. Riproporli oggi come “verità negate” è solo un gioco di disinformazione.

Questo il testo di uno dei post che ci avete segnalato:

Questo servizio trasmesso dall’emitte pubblica RAI nel 2016 oggi, che la propaganda occidentale sedicente pluralista democratica e liberale ci sta offuscando le menti, non sarebbe mai andato in onda.
Pensate cosa si potrebbe scatenare sulla testa del buon Ranucci, unico superstite del giornalismo d’inchiesta sopravvissuto alle epurazioni perpetrate dai governi filoatlantici degli ultimi 10 anni (parentesi Conte a parte) se, durante questi ultimi 3 anni di conflitto in piena Europa, avesse realizzato questa operazione verità che ne rivela le sulle cause profonde.
La stampa, la televisione, i social, da quel maledetto 24 febbraio 2022 ci hanno rappresentato il Presidente ucraino Zelensky come l’unica vittima dei soprusi del cinico sopraffattore Putin e non, come i fatti storici dimostrano, il coimputato di un delitto perpetrato ai danni di due popoli su committenza della NATO.
Ricordatevi, la conoscenza è il presupposto che ci rende donne e uomini liberi. Non smettete mai di coltivarla.

Il messaggio che viene fatto passare – e che è strumentale a quanto vuole chi lo diffonde – è che in passato la stampa in Italia fosse più libera, e che invece oggi sia ridotta al silenzio da oscuri poteri forti. Un presunto “giornalismo d’inchiesta” che oggi sarebbe stato epurato dai governi “filoatlantici”. Si evoca la figura di Sigfrido Ranucci come ultimo baluardo della verità e si punta il dito contro una presunta narrazione a senso unico sul conflitto tra Russia e Ucraina. Tutto ciò, però, è basato su un’illusione.

La propaganda

I servizi che vengono condivisi non sono giornalismo neutrale, ma indagini che attingevano a informazioni di parte, pieni di distorsioni narrative che in seguito sono state analizzate e mostrate anche da noi di BUTAC. Si enfatizzava il ruolo degli estremisti ucraini minimizzando l’intervento russo, sposando in toto la linea propagandistica che Mosca aveva messo in piedi già da qualche anno. Quella linea che ci faceva conoscere persone come Vittorio Rangeloni e Giorgio Bianchi, volti e voci di quella propaganda che tutt’oggi funziona alla grande tra i filorussi italiani, funziona alla grande anche per merito dello spazio che certi media e giornalisti hanno dato loro dieci anni fa.

Sia chiaro, nel 2015-6 la percezione del conflitto in Ucraina era molto diversa: la propaganda russa era meno palese, e alcune narrazioni filorusse trovavano spazio anche nei media mainstream. Ma nel 2025 non ci sono più scuse: chi ancora ripropone questi servizi ignora volutamente i fatti successivi.

L’evidente contraddizione

Questa narrativa anti-NATO ignora un fatto cruciale: alcuni dei leader più influenti vicini alla Russia – come Trump e Musk – sono anche icone del capitalismo più sfrenato. Chi denuncia la censura filoatlantica è lo stesso che difende questi personaggi, dimostrando che, più che una posizione coerente, si tratta di propaganda costruita su misura. C’è infatti un’evidente contraddizione narrativa: da un lato i “poteri oscuri filoatlantici”, dall’altro Trump e Musk, due figure che rappresentano le peggiori forme di sfruttamento capitalistico. Ma i primi vengono dipinti come i cattivi, mentre Trump e Musk sono diventati i buoni. Questo doppio standard rivela quanto questa propaganda sia più interessata alla costruzione di una narrativa funzionale ai propri obiettivi che a una reale coerenza ideologica.

Una strategia ben precisa

Il riutilizzo di vecchi servizi, articoli o dichiarazioni fuori contesto è una tattica collaudata della disinformazione: si prende un contenuto datato, lo si spaccia come verità rivelata e poi nascosta, si enfatizza il presunto contrasto con la narrazione odierna, e la favola della censura è servita. Così si alimentano dubbi ingiustificati, si perdono di vista le priorità su cui dovremmo concentrare le nostre attenzioni, e si crea un clima di sfiducia nei confronti dell’informazione ufficiale.

Il problema non è solo che questi video contengono falsità o mezze verità, ma che vengono diffusi con l’intento esplicito di manipolare il dibattito pubblico. Chi condivide questi contenuti vorrebbe farci credere che sia stata repressa e censurata l’informazione libera, quando invece, specie in Italia, non c’è alcuna censura sui media: chiunque può dire quello che gli pare, anche quando diffama, anche quando mente.

Saper distinguere

La questione più importante oggi sarebbe saper distinguere tra propaganda e vero giornalismo, tra disinformazione e informazione corretta. Peccato che solo a pochi sembri interessare di portare avanti questa battaglia, tutti legati a logiche di clickbait.

Non si tratta di difendere un’informazione a senso unico – cosa di cui spesso veniamo accusati quando facciamo conferenze – ma di riconoscere che non tutti i contenuti giornalistici sono di qualità o imparziali. I servizi del 2016 sono un buon esempio di giornalismo scadente che oggi viene riutilizzato per sostenere la falsa idea che nel passato esistesse una “verità proibita”. Quando la realtà è molto più semplice: la propaganda di Mosca ha sempre trovato terreno fertile in alcuni ambienti, e continua a farlo ancora oggi, riciclando vecchie narrazioni per attrarre nuovi spettatori. Purtroppo è una propaganda che non ha cominciato a circolare ieri, o nel 2022, o nel 2016. Chi la porta avanti ha studiato bene come funziona l’informazione e la inquina da decenni, negli ultimi anni col sostegno di chi nega che la propaganda e la disinformazione possano avere un impatto sostanziale.

Concludendo

Il problema che cerchiamo di evidenziare con questi articoli – che esulano dalla missione del sito, il fact checking – non è che certi servizi siano stati mandati in onda nel 2016, ma che tutt’oggi vengano utilizzati come strumenti di propaganda per sostenere specifiche narrazioni di parte. La propaganda russa è infida e avvelena i pozzi europei da almeno un decennio; serve maggiore consapevolezza, serve un atteggiamento critico e serve sopra ogni cosa una migliorata capacità nel riconoscere che non tutta l’informazione ha lo stesso valore. Chi legge BUTAC questo lo sa bene. Ribadiamo, questo non significa voler impedire a qualcuno di parlare, ma semplicemente cercare di diffondere gli strumenti per evitare di cadere nelle trappole di chi sfrutta l’informazione come arma.

Imparare a distinguere tra giornalismo e propaganda è il primo passo per difendere per davvero la libertà d’informazione. Sarebbe bello, in certi casi, vedere qualcuna delle firme di quei servizi fare un mea culpa su come ha contribuito al disordine informativo – sì, sto parlando proprio con te, ex collega in TV.

maicolengel at butac punto it

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