Le nuove tecnologie e i vecchi docenti

Un post fatto per raggiungere la viralità, ma a nostro avviso ben lontano dalla divulgazione scientifica che si propone il suo autore

Oggi trattiamo un post, divenuto virale, che non è bufala. Questo:

“MA STIAMO IMPAZZENDO? Una mamma mi ha detto: «Mio figlio ha chiesto a ChatGPT di scrivere un tema sul secondo capitolo de I Promessi Sposi di Manzoni inserendo nel tema gli errori che farebbe un quattordicenne».

Questa è una cosa che mi ha fatto rabbrividire. E a me dispiace… ma non per la scuola, perché la scuola la finirete, vi diplomerete.

Se il vostro obiettivo è arrivare al diploma, usate ChatGPT. Ma se il vostro obiettivo è essere uomini e donne di valore, cioè riuscire un domani a essere e lavorare meglio degli altri, dovete saper essere smart. Ma dovete essere voi smart, non ChatGPT.

Quello che a me preoccupa è essere un quattordicenne al giorno d’oggi. In quasi vent’anni di insegnamento, dal 2007 al 2025, ho visto il quoziente intellettivo crollare e la soglia dell’attenzione abbattersi.

Mi ricordo quando ero studente io: avevamo solo i libri, i professori e il nostro cervello.
Dovevamo usare il cervello. O era finita.”

So bene che con quanto sto per scrivere non mi farò nuovi amici, anzi: possibile che perda alcuni dei contatti che mi seguono da più tempo e che adorano ogni cosa che Vincenzo Schettini scrive, ma qui su BUTAC vi (ci, in realtà) abbiamo sempre spinto a usare il pensiero critico, e riteniamo importantissimo farlo anche – e soprattutto! – in casi come questo.

Il post viene condiviso sulle bacheche di tanti dei miei contatti che seguono BUTAC, lo firma appunto quel professore di liceo che ultimamente spopola tra quelli della mia generazione, Vincenzo Schettini. L’ho visto condiviso da tante persone che conosco e ammetto che mi ha fatto venire un po’ i brividi.

Partiamo dall’analisi lessicale: siamo di fronte a un testo nato per raggiungere viralità online, un testo studiato apposta – come tanti dei contenuti di Schettini – per compiacere quello che è il pubblico che l’ha portato al successo, nonché lo stesso tipo di contenuti che hanno fatto il successo di piattaforme come Facebook e TikTok.

La domanda retorica

Quell’iniziale “MA STIAMO IMPAZZENDO?”, tutto in maiuscolo, ci fa capire subito dove vuole andare a parare l’autore: creare un effetto provocatorio cominciando con una domanda retorica tutta urlata. Il tipico approccio fatto per attirare l’attenzione e polarizzare il proprio pubblico di riferimento: o sei d’accordo con me o sei contro di me, sei “impazzito”. Si tratta di un approccio alla comunicazione online che vediamo usare da tanti diffusori di disinformazione. Dialogo costruttivo, come ci aspetteremmo da un docente liceale? Zero.

L’aneddoto

Poi si passa all’aneddoto, ovvero il resto del contenuto è basato su una testimonianza di terzi, non verificabile, ma buona per tutte le occasioni. Sia chiaro, visto il pubblico di riferimento non mettiamo in dubbio che ci siano genitori che hanno fatto domande simili a Schettini sui social e agli eventi che organizza, ma usare un singolo aneddoto porta a una generalizzazione, una mossa anche questa usata spesso nei contesti legati alla disinformazione. Ci sono domande che andrebbero fatte e risposte che andrebbero date. Il fatto che il ragazzo abbia chiesto a un’intelligenza artificiale di simulare gli errori tipici di un quattordicenne significa che lo stesso ha compreso come funziona l’intelligenza artificiale e sta creando prompt funzionali a quanto vuole raggiungere. Lo fa per fregare i professori, incapaci di distinguere tra i lavori del ragazzo stesso presentati fino al giorno prima e quelli nuovi fatti con ChatGPT, o la fa per studiare come funziona uno strumento che è a disposizione di tutti e che non sparirà domani? Nessuno fa questa domanda, praticamente tutti tra i commentatori del post di Schettini concordano che sia, semplicemente, uno scandalo.

Uomini e donne di valore?

Poi arriva l’altro momento di polarizzazione: se volete solo il diploma allora usate ChatGPT, se invece siete “uomini e donne di valore” dovete essere “smart” voi. Schettini ricorre anche qui allo stesso tipo di giochino dell’inizio: o siete con me (di valore) o siete esseri abbietti (non di valore) interessati solo a finire la scuola dell’obbligo. Ma è una falsa dicotomia: la tecnologia non ti ruba il cervello, saper usare ChatGPT e i tanti strumenti moderni al meglio non significa essere stupidi, anzi, se fatto bene potrebbe diventare proprio quello “smart” che Schettini si augura. Imparare a usare le nuove tecnologie può essere perfino uno stimolo a trovare modalità di lavoro più efficienti, o a essere preparati ai tanti nuovi lavori che emergeranno in futuro e che oggi magari non ci immaginiamo nemmeno.

La nostalgia

Poi si passa a stuzzicare la memoria nostalgica dei propri follower: “Quando ero studente io, c’erano solo libri, professori e cervello.” Certo, siamo tutti d’accordo, e quando c’era mio nonno non c’era la calcolatrice o il computer e la carne la si mangiava una volta al mese, e quindi? Fare i nostalgici su un passato che non torna serve solo a evitare il vero problema: come adattare l’educazione al presente. Non possiamo educare i ragazzi di oggi fingendo di essere ancora negli anni Novanta del secolo scorso. Il progresso non si ferma e la scuola deve imparare a convivere con queste realtà, e magari anche a spiegarle ai ragazzi.

Il crollo del QI

Affermare che il QI è crollato senza portare studi e prove che lo dimostrino è al pari della chiacchiera da bar, assolutamente privo di “valore”. Qui su BUTAC abbiamo analizzato per bene i post che sostenevano di questo crollo del QI, e scoperto che fanno riferimento a studi basati su generazioni precedenti a quelle attuali, studi che hanno preso in considerazione soggetti dell’età di Schettini stesso o più vecchi, in anni in cui le nuove tecnologie non esistevano. Vi riporto per intero il paragrafo del nostro articolo del 2023 sul tema, citato anche da Vera Gheno pochi giorni fa nel suo podcast sul Post:

Lo studio norvegese esiste realmente, risale al 2018 ed è stato fatto da due ricercatori del Ragnar Frisch Centre for Economic Research. Quanto scoperto dai due ricercatori si definisce Effetto Flynn inverso. L’oggetto dello studio si basava sull’indice del quoziente intellettivo, il QI. I due ricercatori Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg hanno analizzato i risultati dei test di QI di giovani uomini che facevano il servizio militare in Norvegia tra il 1970 e il 2009, per un totale di 736.000 soggetti. Lo studio ha trovato che l’effetto Flynn positivo è confermato per le coorti nate fino al 1975, con un aumento medio di 0.26 punti QI all’anno. Tuttavia, per le coorti nate dopo il 1975, è stato osservato un declino, con una diminuzione media annuale di 0.08 punti QI. Questi risultati indicano che fattori ambientali, piuttosto che genetici o legati alla composizione familiare, hanno giocato un ruolo predominante nelle tendenze osservate. Quindi i primi a diminuire sono i (ex) giovani nati dal 1975 in poi, quando smartphone, tablet, computer e social network non esistevano. Questo già ci fa capire che condividere quel testo per sostenere che la colpa sia dell’attuale periodo storico e/o delle nuove tecnologie è un errore. L’avvento degli smartphone per come li conosciamo oggi lo possiamo far risalire al primo IPhone, nel 2007, lo studio prende in considerazione giovani fino al 2009. Non c’è traccia di valutazioni sull’impatto dei dispositivi elettronici in quei risicati due anni in cui lo studio è andato avanti.

E difatti lo studio non parla di smartphone, app e internet. I ricercatori norvegesi tra le possibili spiegazioni per questa inversione di tendenza hanno suggerito cambiamenti ambientali e dello stile di vita, come modifiche al sistema educativo e una diminuzione della lettura a favore dei videogiochi tra i giovani. Esistono altri studi che hanno riscontrato risultati simili, concludendo che fattori come l’alimentazione (in particolare il consumo di pesce) e la qualità del sonno possono influenzare i livelli di intelligenza.

La riflessione finale

Schettini conclude come se fossimo di fronte a un dramma teatrale, quel:

Dovevamo usare il cervello. O era finita.

Che non è una riflessione, ma solo una chiusura che non permette alcun dibattito, alcun dialogo: lui ha ragione, e tu se la pensi diversamente hai torto, esattamente lo stesso concetto che vediamo sottolineare a conclusione dei mille post polarizzanti su profili e pagine di disinformatori seriali. Schettini ha fatto suo quel modo di porsi, che – sia chiaro – è uno dei sistemi che ha dimostrato di portare più successo social a chi ne fa uso. Ma non è quello che ci aspettiamo da un docente liceale o da un divulgatore, non è adattandosi a meccanismi che penalizzano tutto quello che è approfondimento e complessità che si risolve il problema di come fare divulgazione di successo sui social.

Concludendo

Il post di Schettini è un concentrato di dramma, nostalgia e generalizzazioni, in cui non si riporta una singola proposta costruttiva. Condanna l’uso della tecnologia senza spiegare perché sia dannosa tout court, e senza dare ai tanti genitori che lo seguono spunti su come affrontare la questione.

Invece che demonizzare le nuove tecnologie il vero sforzo collettivo, specie tra i docenti, dovrebbe essere quello di insegnare ai giovani come usarle al meglio per crescere e migliorarsi. Mentre alla fine un post come quello di Schettini, invece che educare al pensiero critico, educa al consenso facile: stigmatizza il cambiamento per rassicurare chi ha paura di non saperlo affrontare. La vera sfida di un docente e di chiunque abbia a cuore il futuro dei ragazzi di oggi non dovrebbe essere quello di dire “si stava meglio prima”, ma insegnare come il progresso possa essere una risorsa, non il nemico. Schettini a mio avviso su questo tema oggi ha perso una buona occasione d’insegnamento.

maicolengel at butac punto it

Se ti è piaciuto l’articolo, sostienici su Patreon o su PayPal! Può bastare anche il costo di un caffè!

Un altro modo per sostenerci è acquistare uno dei libri consigliati sulla nostra pagina Amazon, la trovi qui.

BUTAC vi aspetta anche su Telegram con il canale con tutti gli aggiornamenti e il gruppo di discussione, segnalazione e quattro chiacchiere con la nostra community.