Ventotene, Giorgia Meloni e la malinformazione

Giorgia Meloni legge alla Camera dei Deputati degli stralci del Manifesto di Ventotene che, decontestualizzati, distorcono gravemente il suo significato

Giorgia Meloni ha fatto un discorso alla Camera dei Deputati che ha scatenato una bagarre decisamente pesante. Un discorso nel corso del quale ha citato alcuni estratti dal Manifesto di Ventotene e li ha commentati criticamente.

BUTAC non ama la politica, ma questo modo di fare rientra alla perfezione in una delle tre macrocategorie del disturbo dell’informazione: la malinformazione.

Meloni ha infatti estrapolato dal loro contesto specifiche frasi del Manifesto, omettendo il contesto in cui sono dette; tali frasi, estrapolate, suonano perfettamente funzionali alla sua narrazione, ma perdono molta della loro forza – o addirittura cambiano significato – quando vengono reinserite nel contesto originale.

Vi riporto le citazioni che non sono state usate nella maniera corretta e il contesto originale, una alla volta.

Meloni dice:

La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente.

Questa frase si trova nel capitolo III “I compiti del dopoguerra. La riforma della società”. Il testo completo recita:

La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale.

Il Manifesto non auspica l’abolizione generalizzata della proprietà privata in stile sovietico, come invece da a intendere la nostra presidente, ma propone un approccio flessibile, caso per caso, non dogmatico. Si rifiuta infatti il modello statalista totalizzante proprio perché si è visto che porta solo alla creazione di una nuova classe privilegiata di burocrati. Meloni omette tutto il pezzo in cui si critica proprio la collettivizzazione forzata, presentando la frase come se fosse una chiamata alla statalizzazione totale. Questo modo di fare è gravemente fuorviante.

Meloni dice:

Nelle epoche rivoluzionarie in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente.

La frase si trova nella sezione II, “I compiti del dopoguerra. L’Unità Europea”:

Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nella rivoluzione russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi. In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, colle sue leggi e la sua amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianze di vecchia legalità, o sprezzandola, una quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni fondamentali bisogni da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille  campane suonano alle sue orecchie. Con i suoi milioni di teste non riesce ad orientarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta fra loro. Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni.

Il Manifesto non critica la democrazia in sé, ma ne evidenzia l’inadeguatezza nelle fasi di crisi profonda o rivoluzione, in cui non basta il metodo assembleare per dare una direzione. È una critica storico-strategica, non un rifiuto della democrazia. Estrapolare la frase dal contesto serve a far sembrare il Manifesto antidemocratico, quando nella realtà si sta limitando a un’analisi dei limiti storici dei processi democratici nelle fasi di transizione rivoluzionaria.

Meloni dice:

La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria

Siamo nella stessa sezione del punto precedente, e la frase nel suo contesto è così:

(I democratici nda) Perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione, e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le confuse velleità regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo della reazione. La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria.

Anche in questo caso la frase viene citata da Giorgia Meloni per far sembrare il contesto del Manifesto antidemocratico, quando in realtà si tratta di una riflessione sui come affrontare una ricostruzione radicale in un contesto come quello postbellico in cui quel Manifesto è stato firmato.

Il Manifesto si limita a spiegare come gli strumenti della democrazia tradizionale in un contesto del genere non bastino, in quanto pensati per per periodi storici di stabilità, non per contesti post bellici come quello in cui il documento è stato scritto. Non si sta proponendo una dittatura ma la creazione di un modello federalista europeo.

Meloni dice:

Il Partito rivoluzionario […] attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna […] Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia.

Dopo questo passaggio nel testo originale del Manifesto leggiamo:

Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle informi masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia. Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sboccare in un rinnovato dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo, fin dai primissimi passi, le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano partecipare veramente alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento, di istituzioni politiche libere.

La “dittatura del partito rivoluzionario” non è né una dittatura nel senso autoritario che Meloni vuole far passare, né un modello permanente. È una fase di transizione necessaria dopo il crollo degli stati nazionali totalitari, volta a:

  • organizzare le “masse informi” che non sanno ancora autogovernarsi;
  • gettare le basi di una vera democrazia, che non sia solo formale;
  • evitare il ritorno dei vecchi poteri reazionari.

La farse difatti è accompagnata dalla precisa rassicurazione che non sono da temere nuovi dispotismi. Peccato che questa parte Meloni la ometta completamente.

Concludendo

Il discorso di Giorgia Meloni del 19 marzo 2025 è un esempio da manuale di malinformazione. Tutte le citazioni tratte dal Manifesto di Ventotene sono veritiere nella forma, ma gravemente distorte nel significato. Il Manifesto di Ventotene nasce per superare fascismo e comunismo e portare alla creazione di una nuova forma di democrazia europea; Meloni, con il suo lavoro di taglia e cuci, l’ha piegato alle esigenze della sua narrazione, allo stesso identico modo che vediamo usare dai mistificatori che trattiamo quotidianamente qui su BUTAC.

Citare frasi vere, fuori contesto, per far dire al testo il contrario di ciò che afferma è il livello più subdolo e pericoloso della disinformazione. Che lo faccia un anonimo sui social è grave, che lo faccia il Presidente del Consiglio in un luogo istituzionale è a nostro avviso inaccettabile.

Intervistata dopo il suo intervento, Meloni ha detto:

Ragazzi, ho parlato per circa due ore, ho fatto arrabbiare tutti con Ventotene… e mi sono arrabbiata anch’io! Ho letto un testo. Cioè, non ho capito: il testo si può distribuire, ma non si può leggere? Però è un simbolo. È un simbolo, del quale io ho riletto i contenuti. Non capisco cosa ci sia di offensivo. Non capisco davvero cosa ci sia di offensivo. Non l’ho distorto. L’ho… l’ho letto!
Il testo diceva quelle cose. Sì, le diceva ottant’anni fa, ma è stato distribuito sabato.

Non credo sia necessario aggiungere altro.

maicolengel at butac punto it

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